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Recensione dell'opera Carmen di George Bizet dal Teatro Fenice di Venezia

cristina chiaffoni, 09/10/2013

In breve:
Una Carmen meravigliosamente torbida sbarca in laguna, abbiamo gradito la produzione di Carmen andata in scena alla Fenice, una Carmen che rispetta tutti i colori forti ed accesi della sua terra andalusa. Ottimo il Don Josè di Stefano Secco, un tenore italiano di alta scuola.


 

Domenica 29 settembre la bellissima Venezia è affollata di turisti e corrucciata, il cielo plumbeo è gonfio di pioggia che poi riverserà addosso in serata agli spettatori che tornano dalla Fenice. La splenida sala del teatro massimo cittadino è rilucente di oro filigranato e colma di spettatori da tutto il mondo ed io osservo deliziata una elegantissima coppia di giapponesi lei soave nel suo kimono verde con l'obi sapientemente annodato. Va in scena Carmen opera amata e mito della letteratura operistica. Ed è stupore, magia strana che ti prende perché quello che c'è sul palcoscenico non è il solito ( e comunque amato anche da scrive) mondo tradizionale andaluso di Carmen, ma una terra bruciata, annullata e ferita dove gli elementi scenici sono pochissimi ed inusuali : una cabina del telefono, un albero di Natale, delle macchine, un gigantesco toro, un'asta di bandiera, ed alla fine il nulla assoluto.

Tutto è affidato alla bravura degli artisti, alla loro fisicità ed ogni piccolo gesto è pesato, studiato e calibrato. Ed i cantanti rispondono molto bene a questa esigenza del regista Calisto Bieito, che firma una regia dura, estrema, trasgressiva e quasi volgare, ma nel termine buono: in scena ci sono soldati imbestialiti e brutali, Carmen e le sue amiche sono prostitute al soldo del lenone Lillas Pastià e perfino l'angelica Micaela indulge in gesti e pose un po' equivoche, ma ciò non disturba anzi da un preciso connotato di estrema sensualità e sessualità all'opera ed ai suoi personaggi.

Stupisce il soldato munito solo dei propri slip che corre incessantemente durante il coro dei soldati, l'entrata di Micaela nel primo atto e lo spogliarello maschile totale che si svolge durante l'entracte del terzo atto (interventi molto apprezzati dalle signore in sala); quasi sconcerta il gesto volgarissimo di Carmen che si sfila gli slip durante il duetto con Don Josè del secondo atto, per poi reinfilarseli all'arrivo Zuniga. Tutto questo scolpisce nel bene e nel male uno spettacolo che mi ha preso e travolto. Le scene scarne ma funzionalissime di Alfons Flores ed i costumi molto moderni e particolarissimi di Mercè Paloma hanno aiutato a definire l'azione ed a coinvolgere gli spettatori .

Carmen è Katarina Giotas, bellissima, fisico statuario e gambe da soubrette televisiva ampiamente sfoggiate, riuscendo ad affascinare anche una donna come me, assolutamente normale. La sua è una voce strana, si direbbe un falcon, né soprano né mezzosoprano, chiara, graffiante a tratti a disagio negli acuti, ma l'artista lascia il segno e il personaggio è colto in pieno.

Assolutamente da applausi il Don Josè di Stefano Secco, voce che risuona in tutta la Fenice, acuti siderali e musicalità e fraseggio di alto lignaggio. Memorabile il si finale della Romanza del fiore, scoccato come una freccia e poi smorzato da gran scuola. Il povero brigadiere stregato dalla gitana è reso dall'artista molto bene con i suoi tormenti, il suo carattere focoso e la sua disperazione finale.

Disinvolta, quasi civettuola e dalla voce limpida e ben emessa la Micaela di Ekaterina Bakanova. Il suo gesto di sfida e di rivincita nei confronti di Carmen nel terzo atto strappa il sorriso al pubblico e l'artista è molto brava nel saper definire in modo inusuale questo di solito candido personaggio. La sua romanza del terzo atto è un capolavoro di morbidezza e di acuti svettanti.

Bello, atletico e dalla voce rigogliosa il baritono Alexander Vinogradov, un Escamillo assai convincente.

Voce svettante e fisico da modella Sonia Ciani è stata un'ottima Frasquita e la morbida, brunita voce del mezzosoprano Chiara Fracasso ha dato il giusto colore alla sua amica Mercedes. Voci da risentire con piacere in ruoli più importanti. Ottimi loro compagni Francis Dudziak e Rodolphe Briand rispettivamente Dancaire e Remendado. Matteo Ferrara è stato uno Zuniga molto buono e corretto mentre seppur con bella voce ha rivelato qualche smagliatura il Morales di Dario Ciotoli. Affascinante la presenza e la vis scenica dell'attore Cesare Baroni un Lillas Pastià molto più importante qui che sullo spartito originale. 

Il coro della Fenice, diretto dal Maestro Claudio Marino Moretti è veramente splendido, voci molto belle e ben fuse tanto da rendere un colore uniforme, unico e suggestivo, si divertono e rivelano doti atletiche saltando nell'ultimo atto sul saluto all'espada Escamillo e cantando insieme cosa non facile. Precisissimi e giocosi, disinvolti in scena i piccoli coristi del coro Piccoli Cantori Veneziani ben diretti dalla bionda ed affascinante maestra Diana D'Alessio.

L'orchestra del Teatro La Fenice, pur risultando scollata ed incerta in tre momenti dell'opera ha un ottimo e compatto suono, luminoso e preciso e sono ben diretti da Diego Matheuz, che tranne per quei momenti sopracitati lascia un'impronta infuocata e vigorosa sulla partitura bizetiana.

Un ottimo spettacolo e gli applausi entusiasti e scatenati del pubblico alla fine hanno dimostrato che l'opera è piaciuta e soprattutto che il nostro teatro musicale è ben vivo e gagliardo.

 

 
 
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