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Recensione dell'opera Traviata di Giuseppe Verdi dal Teatro Massimo di Palermo

Gigi Scalici, 01/12/2013

In breve:
Palermo 24/11/2013 – “Commovente Violetta, commossa Desirée ”. Successo personale di Desirée Rancatore nel debutto italiano de La Traviata.


Torna La Traviata nel capoluogo siciliano dopo poco meno di due anni, a seguito della necessaria revisione del budget del Massimo che ha determinato la sostituzione di Sigfrido e di Götterdämmerung di R.Wagner (dovrebbero andare in scena nel 2015/2016), rispettivamente con la tiepida rappresentazione di Sette storie per lasciare il mondo di M. Betta  e con il terzo capolavoro della celebre trilogia verdiana.

E dopo l'ottima Gilda del Rigoletto dello scorso mese di maggio, torna nella sua Palermo anche la beniamina nota Soprano internazionale in carriera ad affrontare per la prima volta sul palcoscenico italiano il complesso ruolo di Violetta Valéry, già debuttato con successo a Montecarlo nello scorso gennaio e successivamente in Spagna e nel sultanato di Oman. 

Il passaggio dei Soprani lirico - leggeri a La Traviata è quasi sempre ricorrente e come si è detto in altre occasioni, per la signora Desirée la maturazione era già avviata da tempo ed il transito è stato assolutamente naturale, oltre ovviamente grazie anche al notevole studio di un'opera così complessa e rischiosa che impegna notevolmente per tutta la rappresentazione. 

Sin dall'esordio del primo atto Desirée Rancatore si cimenta nel personaggio con  sicurezza, già da consumata interprete del ruolo, sia dal punto di vista scenico, sia da quello musicale, con altrettanta freschezza vocale. Il registro centrale è saldo, da soprano lirico, le note basse piene e sicure, l'agilità nei passaggi e la ricchezza dei colori sono ormai note e la ricca estensione sino al Mi bemolle  sovracuto di tradizione, nella cabaletta di “ Sempre libera degg'io ” al termine del primo atto, è potente e centrata.

Nel secondo atto, l'espressione del conflitto tra il desiderio di amare ed il segnato destino di cortigiana è notevole come il suo dignitoso spirito di sacrificio, manifesta calore e malinconia con la forza del suo sentimento verso Alfredo nel sofferto duetto con Giorgio Germont con l'accorato “ Non sapete quale affetto ” e nell'urlo d'amore di “Amami Alfredo”. Nel terzo infine commuove nella celebre romanza “Addio del passato” introdotta da un ottimo e toccante oboe, in “Gran Dio morir sì giovane” e  sino  al punto estremo di questo particolare dramma verdiano intimo, psicologico, romantico e belcantistico, in cui l'artista con spiccata personalità fa tesoro della vasta esperienza del suo ampio repertorio.

Rincresce però dover constatare che, come talvolta avviene, da parte degli altri interpreti principali le cose non vanno altrettanto bene, soprattutto se si tratta di validi artisti. 

Si era proprio avuto modo di assistere alla performance in Alfredo di Stefano Secco  in una precedente Traviata del 2007 (con Andrea Rost, Stefano Antonucci  e la Direzione di Stefano Ranzani), in cui il giovane Tenore si era distinto per il bel timbro lirico e la buona interpretazione, nonostante talune problematiche nell'estensione acuta. Adesso, dopo alcuni anni di carriera maturati e non soltanto nel repertorio verdiano, si evince sicuramente una maggiore padronanza del personaggio: è un Alfredo  giovane, innamorato, invaghitosi di una donna di mondo e si denota un buon fraseggio, una migliore recitazione nei duetti con Violetta, oltre ad un maggior volume, ma rimangono ancora problemi di impostazione vocale nell'emissione e nei passaggi che non gli consentono di svolgere compiutamente il complesso ruolo come si dovrebbe. Esordisce correttamente, con un'ottima ipostazione di tenore lirico e con trasporto romantico in “Un di felice, eterea ” ma mostra delle difficoltà nel temibile cantabile “Dei miei bollenti spiriti ” all'inizio del secondo atto, anche se poi recupera nell'impetuosità di “Ogni suo aver tal femmina” per intensità drammatica.

Più giustificato il giovane Baritono palermitano Vincenzo Taormina, pure debuttante in questa edizione italiana, ma con un'esperienza inferiore soprattutto per i ruoli verdiani. Si era assistito ad altre rappresentazioni nel nostro teatro con questo apprezzato artista. Un bel timbro pieno e di ampio volume anche se ancora chiaro, sicuro nelle note centrali e gravi, un po' meno in quelle più acute. Il suo papà Germont - ruolo spesso affidato ai baritoni esordienti - non è particolarmente a fuoco come dovrebbe nel definire quell'uomo maturo sicuro ed autorevole, ipocrita e cinico che si ravvede troppo tardi, nonostante nel fraseggio dia il massimo. Prevale la sua imponenza fisica  sin troppo statica, probabilmente per scelte registiche. La melodica “Pura si come un angelo ” accompagnata dagli archi, la paternale “Di Provenza il mare, il suol” e la cabaletta "No, non udrai rimproveri " sono eseguite dignitosamente e con rispetto della partitura, ma con il tempo dovrebbero migliorare per stile di canto ed interpretazione. 

Un debutto al Massimo anche per il genovese Maestro Matteo Beltrami, sul podio dagli anni novanta e buon conoscitore delle partiture verdiane. Non si intendono assolutamente fare confronti con la suddetta direzione del 2007, il giovane concertatore e direttore d'orchestra tutto sommato riesce a mantenere un buon equilibrio tra gli strumenti (anche quelli dietro le quinte) ed i cantanti, nella prevalenza dei tempi dispari, per l'adeguatezza dei colori, dei ritmi e delle intensità anche nelle pagine dinamicamente più intense.  Raffinati gli archi ed i fiati dei due preludi, in maggiore del primo atto che sintetizza la storia della romantica e tragica vicenda amorosa, ed in minore del terzo in cui gli esili suoni acuti e sommessi anticipano l'imminente morte di Violetta. Molto compatto e coinvolgente  il largo concertato senza stretta al termine del secondo atto e quello moderato al termine del terzo, introdotto da Violetta con “Prendi, questa è l'immagine ”. 

Coro  ben istruito e diretto dal Maestro Piero Monti. Dignitosi gli altri solisti, in particolare l'Annina di Valeria Tornatore e la Flora di Patrizia Gentile, con un particolare apprezzamento per il distinto dottor Grenvil di Manrico Signorini per l'interessante ampio timbro di basso, pur nella brevità della parte.

Il moderno allestimento del Teatro Regio di Torino in coproduzione col Santa Fe Opera Festival, ha fatto con successo il giro del mondo e reca la firma del noto regista Laurent Pelly (già a Palermo nel Don Chisciotte del 2010) ripreso da Anna Maria Bruzzese. 

E' essenziale, con scena fissa per i tre atti costituita da un insieme di prismi rettangolari, posti su vari livelli e separati da scalette nel contesto di tutto il palcoscenico, sui quali si svolge la rappresentazione prevalentemente in grigio scuro; una Parigi scenicamente “tombale ” così come definita dagli stessi addetti ai lavori. Tutto è affidato al movimento degli artisti che indossano eleganti costumi ottocenteschi dello stesso Pelly  tra cui spicca l'acceso fucsia dell'abito della sensuale, accattivante  e spigliata protagonista donna di mondo che sempre libera  nel primo atto passa da un prisma all'altro, ed al gioco di luci. L'unica variante è nel secondo atto in cui una piccola prospettiva costituisce l'esterno agreste della casa di campagna dei due amanti in abiti comuni. I prismi  raffigurano il cimitero di Montmartre con l'evocazione del funerale durante il primo preludio, i saloni delle feste nel primo e secondo atto e l'interno di un ospedale nel terzo. 

L'insieme in prevalenza propone una generale esplicita carica erotica (molto meno che nel precedente Rigoletto) più o meno coerente con il celebre dramma verdiano che - sempre attuale - si presta ad ogni tipo di raffigurazione moderna e che - sempre per il consueto conflitto - può o non può piacere. 

Si nota ovviamente la mancanza delle sontuosità del brindisi iniziale e delle sfarzose feste, della prevalenza del rosso, dei ricchi balletti mascherati delle zingarelle e dei toreri, cui la tradizione ci aveva positivamente abituati nello scorso novecento ed a cui siamo costretti a rinunciare, soprattutto in tempi di crisi economica.  Anche alcune omissioni delle seconde strofe delle arie ci meravigliano perché vorremmo apprezzare meglio i solisti, ma non sono un problema, così come la morte di Violetta sola e distesa a terra: la regia si attiene al dramma di Dumas  in cui Marguerite  Gautier  rimane assolutamente sola poiché Alfredo non riesce a giungere in tempo; infatti nel preludio lo si vede giungere in cimitero con ritardo.

Nel complesso questa replica domenicale, al solito gremita anche di molti turisti come si conviene per le grandi occasioni, come spesso accade è risultata forse più credibile della prima rappresentazione ed i più calorosi consensi sono stati prevalentemente per la protagonista meritatamente distintasi tra tutti, visibilmente commossa, ma anche per tutti gli altri indipendentemente da talune disomogeneità.

 

 

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