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Recensione dell'opera i Vespri Siciliani di Giuseppe Verdi dal Teatro Municipale di Piacenza

William Fratti, 17/12/2013

In breve:
Il Teatro Municipale di Piacenza prosegue i festeggiamenti del Bicentenario Verdiano con uno degli spettacoli più belli ed interessanti degli ultimi anni: I vespri siciliani firmati da Davide Livermore – con scene di Santi Centineo, costumi di Giusi Giustino, luci di Vladi Spigarolo, coreografie di Luisa Baldinetti, Cristina Banchetti e lo stesso Livermore – creati per il palcoscenico della sua città in occasione del centocinquantesimo anniversario dell'Unità d'Italia.


Già all'epoca si era espresso il parere che tale allestimento – veramente patriottico nell'animo – avrebbe dovuto calcare le scene di tutti i teatri del Paese ed è una gioia vederlo ora in Emilia, in una coproduzione che parte da Reggio, città natale del Tricolore. Purtroppo la grandiosità scenografica a cui si era assistito a Torino, ora viene a mancare a causa dei limitati spazi e dell'assenza degli opportuni impianti tecnologici, ma la riduzione è stata eseguita con adeguato criterio e il messaggio – tra cui l'intromissione della criminalità organizzata negli affari dello Stato; lo smisurato potere dei mass-media; nonché il carnevalesco comportamento del Parlamento – è opportunamente trasmesso agli spettatori.

Alla prima rappresentazione piacentina, terminata la prima parte alla fine di secondo atto, il pubblico ha chiassosamente espresso il suo dissenso, che pareva essere rivolto alla regia. Ma da un'indagine più approfondita presso il loggione e le gallerie ci si è resi conto che le disapprovazioni erano totalmente rivolte agli interpreti, mentre lo spettacolo stava piacendo. Ed effettivamente non si può che essere d'accordo.

Purtroppo Sofia Solovij, nei panni di Elena, è in grado di fare il suo dovere solo nella prima ottava. Al di sotto il canto è così fievole e poco udibile che non è neppure possibile esprimere un giudizio; mentre oltre il passaggio diventa stridula e fastidiosa, tanto da essere fischiata a scena aperta dopo “Mercé, dilette amiche” e da attirare rumorosi mormorii in “Taccia il bronzo omai fatale” nel terzetto finale, che è risultata la pagina più terribile della serata. E nel frattempo ci si continua a domandare come mai sia così tanto necessario scritturare tali “eccellenze” dall'estero, pur potendo ascoltare pubblicamente esecuzioni del medesimo livello su You Tube; dove siano le orecchie dei dirigenti durante le prove; insomma, gli spettatori paganti iniziano ad essere stanchi di ascoltare rappresentazioni approssimative, sentendosi sempre rispondere “ma è giovane”, “ma è indisposto”, “ma non ci sono soldi”, “ma non era libero nessun altro”, ecc.

Lorenzo Decaro, che potrebbe anche essere dignitoso in un repertorio meno spinto e in cui non occorra a tal punto la presenza di squillo e la capacità d'accento come in quello verdiano, esegue il difficilissimo ruolo di Arrigo con le note al posto giusto nei numerosissimi acuti, ma senza considerare che i suoni restano in gran parte imprigionati nella sua testa e nella sua mascella, invece di correre in sala. Inoltre l'intonazione non è sempre delle migliori. Al termine dell'aria di quarto atto – quella di quinto è soppressa – il pubblico si fa sentire davvero inferocito.

Mansoo Kim è l'unico protagonista degno di nota. La sua voce è molto al di sopra di quella dei colleghi, soprattutto nel timbro e nel volume e dimostra di saper usare la parola, cercando un minimo di fraseggio. Ma la sua insicurezza nell'autoritario ruolo di Monforte è troppo evidente da poter accontentare a sufficienza.

Roberto Scandiuzzi, Procida, che sulla carta era il solo a dare una certa fiducia, si presenta svogliato e disomogeneo, tanto da far scordare la naturale bellezza del suo colore.

Se la cava meglio il Danieli di Oreste Cosimo, brillante, luminoso ed è il solo che sa distinguersi nell'arduo concertato di terzo atto. Altrettanto positiva è la prova di Costantino Finucci nei panni di Roberto; mentre meno opportuno è Alessandro Busi nel ruolo di Bethune. Completano il cast Cristian Saitta, Vaudemont; Jenish Ysmanov, Tebaldo; Riccardo Gatto, Manfredo; Elisa Barbero, Ninetta.

Abbastanza positiva, anche se non eccellente, soprattutto nei primi due atti, la prova del Coro Claudio Merulo di Reggio Emilia diretto da Martino Faggiani.

Ottima è invece la bacchetta di Stefano Ranzani, che guida con vivacità e buona dose d'accento l'Orchestra Regionale dell'Emilia Romagna. Il direttore milanese, sempre attento alla pulizia dei suoni e alla precisione musicale, riesce in qualche modo ad amalgamare lo spettacolo, pur predisponendo di interpreti per lo più inadeguati.

In effetti Stefano Ranzani e Oreste Cosimo sono i soli a sortire una qualche acclamazione al termine dell'opera, salutata con applausi molto deboli e un generale “fuggi fuggi” del pubblico.

 

 
 
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