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Recensione opera Otello di Giuseppe Verdi al Teatro Massimo di Palermo

Gigi Scalici, 11/03/2014

In breve:
Palermo - Recensione dell'opera lirica Otello di Giuseppe Verdi in scena al Teatro Massimo di Palermo il 2 marzo 2014.
Ben tornato “Otello” assente dal 1999, con l'esclusiva Regia di Henning Brockhaus e l'ottima Direzione d'Orchestra di Renato Palumbo.


Con questa replica domenicale si conclude positivamente la settima rappresentazione del massimo melodramma verdiano di intensa introspezione psicologica in cui, sia la compagine orchestrale, sia quella corale ben affiatate si distinguono particolarmente per l'omogeneità e per la corretta esecuzione, soddisfacendo appieno il gremito teatro che ricambia con grande entusiasmo.
Altrettanto per gli artisti del cast principale alla quarta recita, fatta eccezione però per talune riserve sul Tenore dell'eponimo ruolo.

Otello in effetti per la sua complessità ha sempre messo alla prova i più grandi Tenori del passato, tra cui si sono distinti non molti artisti.
Il cantante argentino Gustavo Porta, che calca le scene dalla fine degli anni novanta in tanti ruoli verdiani, dotato di un bel timbro generoso di lirico spinto ben esteso e potente, non mette ben a fuoco vocalmente il suo personaggio . Il medium è buono, il problema è nel portamento e negli acuti che sono forzati a discapito della corretta intonazione su cui talvolta difetta. Sin dalla potente cavata di “Esultate ” ha problemi che manifesta quasi per tutto il resto della rappresentazione nei passaggi e sul registro più alto, a svantaggio anche dell'interpretazione che in definitiva sarebbe più che dignitosa. Tuttavia veste bene i panni del Moro nel duetto con Desdemona del primo atto con un buon fraseggio in “Già nella notte densa" e nella veemenza della cabaletta con Jago in “Sì pel ciel marmoreo giuro" in conclusione del secondo. Si riscatta sicuramente nell'amarezza dei monologhi del cantabile “Dio, mi potevi scagliare" del terzo e del declamato “Niun mi tema” al termine, in cui è vocalmente a proprio agio, rientrando nella dimensione umana di Otello. E' alquanto applaudito al termine dello spettacolo dal pubblico attento, esigente e generoso nel contempo.

Aspetto ben diverso invece per Iago di Giovanni Meoni, particolarmente distintosi tra i colleghi.
Il baritono di tipica tradizione italiana, possiede un bel timbro di solido e consistente volume, è sicuro nell'estensione del registro senza forzature, dalle note più gravi agli acuti più impegnativi come quelli del recitativo del “Credo” che risolve con tanta costanza espressiva. Forte della vasta esperienza in Bellini, Donizetti e Verdi che esegue dagli inizi degli anni novanta, dalla buona linea di canto è a suo agio nel mettere a nudo un personaggio sottile, vile, infido, perfido, maligno, satanico e mellifluo quanto basta, simulando con naturalezza un insospettabile e rispettabile soldato, sino a quando non viene finalmente smascherato.
In effetti Jago, che come noto avrebbe potuto titolare l'opera, genio dell'odio e del male è l'asse fondamentale del capolavoro dell'ultra settantenne compositore e del Maestro librettista Arrigo Boito, tratto da Shakespeare. Dalla spiccata personalità, riesce ad influenzare assolutamente il debole Otello costringendolo ad uccidere prima Desdemona e poi se stesso, concretizzando il suo piano di vendetta. Ed in questo Giovanni Meoni riesce sin troppo bene meritandosi, maturando ancor di più il personaggio, di essere inserito tra i migliori interpreti del noto alfiere. Più che credibile nel “Sogno ” del secondo atto e nel duetto con Otello, ottiene sicuramente i consensi più consistenti da parte del pubblico.

Molto apprezzata anche l'ingenua ed innocente Desdemona della Signora Julianna Di Giacomo.
La giovane statunitense Soprano lirico-spinto in carriera è naturalmente dotata di un ottimo volume e di un bel timbro caldo che la contraddistinguono in una emissione di ricchi colori.
Nonostante la consistente ed estesa vocalità, non forza mai assicurando a Desdemona la corretta impostazione di nobile donna, mite e di buona fede, diversa da tutti gli altri, “pia creatura nata sotto maligna stella” sottomessa alla tracotanza di Otello, di cui intuisce forse troppo tardi le cattive intenzioni dettate dalla cieca gelosia.
Dalla ben definita linea di canto, con le celebri “Canzone del Salice” e “l'Ave Maria” al termine del quarto atto, con il suo accurato ed accorato fraseggio drammatico ben armonizzato da un ottimo lirismo interpretativo, riesce con naturalezza a trasmettere allo spettatore le sensazioni del suo stato d'animo, confermandosi valida interprete verdiana.

Il cast è completato dai decorosi e credibili Cassio e Roderigo dei validi tenori Giuseppe Varano e Pietro Picone, da Emilia della brava MSoprano Anna Malavasi, dai Bassi Manrico Signorini/Lodovico e Maurizio Lo Piccolo/Montano e dal Baritono Riccardo Schirò/Araldo, tutti applauditi.

Solisti in perfetto equilibrio ed armonia con l'imponente orchestra concertata e diretta magistralmente da Renato Palumbo, noto specialista delle partiture verdiane, che come si diceva in premessa, insieme all'ottima preparazione del coro da parte del Maestro Piero Monti (Salvatore Punturo per le voci bianche) e grazie anche alle numerose rappresentazioni, hanno contribuito tutti all'ottima riuscita musicale dell'opera, applauditissima.

L'impatto con l'inizio dell'opera con il potente accordo a piena orchestra è notevole, il rumore del cannone ed il borbottio dell'uragano sono efficaci ad introdurci nella complessa struttura musicale che viene eseguita con accuratezza nell'intero contesto dell'opera, non trascurando la raffinatezza degli archi e dei fiati nei righi più sinfonici e melodici, all'inizio degli altri atti ed in alcuni pianissimi.
I tempi son ben sostenuti e le dinamiche intense nelle pagine più colorite ed il grande concertato del terzo atto è tra le migliori esecuzioni d'insieme che si ascoltino al Massimo.

La regia dell'allestimento realizzato in coproduzione con il Teatro San Carlo di Napoli, è firmata da Henning Brockhaus che aveva diretto anche Rigoletto dello scorso anno, con le scene di Nicola Rubertelli ed i costumi di Patricia Toffolutti.

Una scena semifissa per i quattro atti, con al centro le spesse pareti circolari semoventi del castello, in cui all'interno ed all'esterno si svolge il melodramma. All'inizio l'ambiente è cupo, non realistico, l'isola di Cipro si presenta piena di rovine, come subito dopo una catastrofe.
Gli effetti della tempesta sono affidati esclusivamente all'orchestra, all'apertura del primo atto l'inusuale presenza di Desdemona e di Jago che lanciando un intenso fischio strappa la tela raffigurante il “Giardino delle delizie” di Bosch, come a mettere a nudo tutti i protagonisti. Le scene ed i costumi, sempre secondo il regista, non richiamano alcun momento storico.

Tuttavia la rappresentazione, fuori dagli schemi di tradizione, è molto dinamica e significativa, arricchita dai costumi e dagli effetti luminosi, soprattutto nel primo atto, con tutti in maschera. Come per il Rigoletto sono tanti i richiami di carattere erotico con la simulazione di vari accoppiamenti pubblici in un generale movimentato groviglio di persone e di azioni, proprio a delinearne il degrado, in un contesto nebbioso e tetro che ha una connotazione diabolica, forse più adatta a rappresentare un Mefistofele.

La simbologia è cospicua, dai detriti degli antichi affreschi del primo atto, dai cadaveri dei mussulmani coperti da un telo da Otello e Desdemona, alle rocce laviche sul proscenio ed alla collocazione di un cumulo di armature dismesse al centro della scena. Rilevante altresì l'attenta ricostruzione della statua della Madonna da parte della pura e religiosa Desdemona nel quarto atto, in antitesi al diabolico Jago che l'aveva distrutta nel contesto del suo “Credo”.
Indipendentemente dal condividere o meno le suddette scelte registiche, è però uno spettacolo valido che ovviamente lascia libertà di interpretazione allo spettatore.

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