Non è facile ripetere il successo di un evento, soprattutto se lo si
ripropone con la stessa ricetta, ma l'impegno e la passione del Club dei 27,
nonché la generosità e il calore degli artisti intervenuti, lo hanno reso
possibile.
Così la seconda edizione di Fuoco di Gioia ha acceso gli
animi degli spettatori presenti in sala, il cui contributo economico,
moltiplicato da Fondazione Cariparma, Barilla e Chiesi farmaceutici,
è devoluto a “Parma facciamo squadra 2014” e certamente
impiegato anche a riparare i danni provocati dalla recente alluvione. E a
rendere tutto più festoso ed informale è la presentazione a cura del bravissimo
Falstaff, alias Paolo Zoppi, direttore artistico del
gruppo di appassionati e melomani intenditori.
Antonello Allemandi dirige con polso sicuro la
Filarmonica Arturo Toscanini, prodigandosi in suoni decisi e marcati,
risultando particolarmente accattivante nelle pagine più drammatiche, tra cui la
sinfonia di Luisa Miller, il duetto di Amneris e
Radames da Aida e l'aria di Otello.
Bravissima la spalla Mihaela Costea nel preludio al finale atto
terzo de I Lombardi alla prima crociata.
Roberto Tagliavini apre la lunga kermesse ed è un ottimo
biglietto da visita. “Come dal ciel precipita” da Macbeth
è resa con un fraseggio molto interessante e acuti limpidissimi. Qualche minuto
più tardi accompagna Anna Pirozzi in “Santo di patria”
da Attila con un accento così riuscito da lasciare il pubblico
in trepidante attesa della grande aria del Re degli Unni. E certamente non
delude, anzi, si dimostra protagonista validissimo, musicale ed omogeneo, saldo
su tutta la linea di canto che in questa parte appare particolarmente morbida e
ricca d'accenti.
John Osborn e Lynette Tapia debuttano al
Teatro Regio di Parma, accompagnati da Rossana Rinaldi,
con “Giovanna ho dei rimorsi” da Rigoletto. Purtroppo
le poche frasi pronunciate dalla Signora Rinaldi appaiono poco intonate e il
canto della Signora Tapia è ridotto ai minimi termini, oltreché
presentarsi poco pulito, soprattutto negli attacchi e negli acuti. Invece il
Signor Osborn, dotato di naturale morbidezza ed eleganza, si
prodiga in una serie di pianissimi particolarmente raffinati.
Nella seconda parte del concerto Lynette Tapia vince
l'emozione dei primi momenti esibendosi con un sorprendente “Caro nome”
che, seppur non sempre precisissimo, è indovinato nei colori, ma soprattutto
permette al soprano di regalare al pubblico dei bellissimi filati naturali,
qualche forcella inserita nei punti giusti e un bel trillo, seppur per pochi
secondi.
Subito dopo il marito è il Duca di Mantova in “Ella mi fu
rapita… Parmi veder le lagrime… Possente amor mi chiama” dove eccelle
indubbiamente nei fiati, ma l'abuso di pianissimi e mezze voci – comunque
eseguite magistralmente – rende tutto troppo mieloso, soprattutto in
considerazione del fatto che sullo spartito ci sono molti segni d'accento, ma
nessuna p. Al contrario le sue recenti performance rossiniane sono di notevole
levatura. Buona la resa del duetto “Parigi, o cara”.
Anna Pirozzi, in abito rosso scarlatto, infiamma
letteralmente la platea con la cavatina di Odabella. La linea di canto
non è pulitissima, ma la possanza della voce, la spiccata drammaticità, il
vigore del timbro e la facilità con cui porta i centri verso l'acuto alimentano
certamente l'interesse nei suoi confronti.
Attenzione ulteriormente attirata dalla resa di “È strano” che
Pirozzi canta per la prima volta in pubblico, con lo spartito,
in sostituzione dell'assente Monica Tarone. Ovviamente ci sono
tutte le imprecisioni di chi non ha in gola la parte, ma è davvero piacevole
udire una Violetta di un certo calibro – come pure incantevole sentire
il fuori campo di Alfredo cantato dalla valanga vocale di
Gregory Kunde.
Purtroppo con la successiva “Pace, pace, mio Dio” da La
forza del destino escono tutte le imperfezioni, mancando di morbidezza,
omogeneità e attenzione alle sfumature.
Rossana Rinaldi è una credibilissima Amneris in “L'aborrita
rivale” e un'altrettanto attendibile Azucena in “Condotta
ell'era in ceppi”. La voce ha un bel colore, seppur non troppo scuro, ma il
canto non è sempre pulitissimo, soprattutto nelle note più alte. In entrambe le
celebri pagine verdiane è accompagnata dal tenore statunitense, anch'egli
debuttante al Teatro Regio.
Gregory Kunde, classe 1954, dopo oltre trenta anni di
carriera belcantista sta vivendo una seconda primavera con ruoli tipicamente
spinti e nel repertorio verdiano sta riscuotendo incredibili successi con
Il trovatore, I vespri siciliani, Un ballo in maschera, Messa da
Requiem, Aida, Otello ed è proprio con la temibile aria tratta da
quest'ultimo titolo che il Signor Kunde porta la platea di Parma in stato di
esultanza. Il fraseggio di “Dio! Mi potevi scagliar” è encomiabile, la
musicalità è invidiabile, lo squillo è limpidissimo, i centri voluminosi
sapientemente portati verso l'alto e omogeneamente passati in acuti continuando
a mantenere il medesimo peso. E la richiesta di bis diventa un obbligo e
fortunatamente è concesso.
Ferruccio Furlanetto, classe 1949, festeggia i suoi quaranta
anni di carriera con il conseguimento del Cavalierato di Verdi,
l'onorificenza del Club dei 27 assegnata a chi ha contribuito
con la propria attività a diffondere e a tenere alto nel mondo il nome di
Giuseppe Verdi. Dopo la consegna del collare da parte di
Mirella Freni, Cavaliere dal 1980, il celebre basso si esibisce in “Infelice
e tuo credevi” da Ernani con voce un poco rotta
dall'emozione, ma con bel timbro, bel colore e soprattutto fraseggio espressivo.
Ed è a Furlanetto che spetta la chiusura della serata con “Ella giammai
m'amò” da Don Carlo, in cui si prodiga in un eccellente e
sapiente uso della parola.
Una serata verdiana perfettamente riuscita con un pubblico letteralmente in
visibilio.
Peccato per il continuo chiacchiericcio proveniente dal palco centrale.
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