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Recensione opera La forza del destino di Giuseppe Verdi al Teatro Regio di Parma

William Fratti, 24/10/2014

In breve:
Parma - Recensione dell'opera lirica La forza del destino di Giuseppe Verdi in scena al Teatro Regio di Parma il 23 ottobre 2014.


La crisi economica del Teatro Regio di Parma sembra purtroppo non avere fine. È dal commissariamento del Comune nell'autunno 2011 che la massima istituzione culturale della città sembra cadere nel baratro e ancora non si vede il fondo. Gli anni d'oro in cui si poteva assistere a quasi una decina di spettacoli annui con la partecipazione di artisti di alto livello internazionale sono ormai lontani. E c'è chi, per strada, saluta i vecchi dirigenti di una volta con una punta di nostalgia.

Fare l'opera a Parma, e soprattutto Verdi, è una questione delicata. La ricetta delle grandi fondazioni è un peso troppo grande e le soluzioni dei teatri di provincia sono inadeguatamente minuscole di fronte a quel titano che è il Regio. Solo cercando in città si può venire a capo dell'enigma e bisognerebbe farlo prima che sia troppo tardi.
In questi anni qualcosa è piaciuto e qualcosa no, anche se il loggione non si fa più sentire come un tempo, forse per timore di arrivare alla tanto scongiurata chiusura. E così, dopo una brevissima stagione che ha avuto più bassi che alti, finalmente arriva il Festival Verdi, che di Festival ha solo il lungo elenco delle manifestazioni collaterali, ma l'opera è una sola; due se si conta La traviata in scena a Busseto con i giovani del 52º Concorso Internazionale Voci Verdiane. Anche a Pesaro si allestisce Il viaggio a Reims con i cantanti dell'Accademia Rossiniana, ma con modalità ben distinte e un cartellone principale ben più ricco. Forse, sommando i costi di tutti gli eventi paralleli, si sarebbe potuto avere almeno il budget per un'opera in forma di concerto, migliorando notevolmente l'umore del pubblico.

Il solo spettacolo presente sul palcoscenico del Regio è La forza del destino, nella produzione interamente firmata da Stefano Poda nel 2011, che ai parmigiani era piaciuto poco fin dalla prima volta, ma che ha una suggestione poetica davvero toccante. Non c'è alcunché di realistico in questo allestimento, ciononostante è una rappresentazione del vero mediante una visione onirica, come se si guardasse al mondo attraverso i sogni, che altro non sono che l'elaborazione della realtà stessa. Non serve aggiungere altro, poiché ne esiste in commercio il video, se non che, ove c'era spazio per il miglioramento con qualche piccola modifica, ciò è stato fatto, incrementandone ulteriormente l'eleganza.

Sul podio è il talentuoso Jader Bignamini che, pur dirigendo con estrema cura la Filarmonica Arturo Toscanini, non riesce a prodigarsi in quelle sublimazioni di colori e sfumature con cui aveva guidato Simon Boccanegra lo scorso anno. Alcune parti riescono particolarmente bene, altre meno, forse anche per la discontinuità nella qualità degli strumentisti e dei cantanti. Riguardo l'orchestra un plauso è da riservarsi all'arpa. Incostanza che si nota anche per il Coro del Teatro Regio di Parma che in questa occasione è diretto da Salvo Sgrò. Eccellenti gli uomini nella scena della vestizione, nella successiva “La Vergine degli Angeli” e in “Compagni sostiamo”. Meno riusciti gli interventi dell'osteria e del quadro conclusivo di terzo atto.

Virginia Tola compie il passo più lungo della gamba. È molto lodevole notare l'amore che le porta il pubblico di Parma, ciò non toglie che, a essere obiettivi, la parte vocale di Leonora la uccide al punto di non permetterle neppure di trovare un fraseggio espressivo o un minimo di colore, risultando inelegante, noiosa e spesso affaticata. Anche dove cerca un poco di finezza con piani e pianissimi, il suono non è ben timbrato e non si sente in fondo alla sala. Se Virginia Tola merita un premio, lo merita certamente per l'impegno, poiché questo è evidente. Ma continuare a cantare queste cose può esserle molto pericoloso.

Più in parte è Roberto Aronica, anche se deve avere notato una certa stanchezza derivante dal ruolo, poiché in primo atto sembra risparmiarsi, come se fosse solo il riscaldamento per la vera recita che inizia dal terzo. Davvero commovente la resa del duettino “Or muoio tranquillo” e abbastanza buona quella dei due duetti “No d'un imene il vincolo” e “Le minacce, i fieri accenti”, anche se non ci sono lo slancio e lo squillo degli scorsi Masnadieri, poiché in alcuni punti sembra appesantito fino a fare fatica a muovere la voce.

Luca Salsi, già eccellente interprete di diversi ruoli verdiani, è Don Carlo e in questa occasione appare molto stanco, forse indisposto. In secondo atto non tutte le note sono ben poggiate e in più punti rischia di perdere l'intonazione. Col procedere della vicenda trova il suo consueto smalto negli acuti, ma i centri tendono a sbiancarsi e a perdere di musicalità. È la primissima volta che lo si ascolta in queste condizioni. Certamente si tratta di un momento passeggero.

Chiara Amarù è una belcantista raffinata e precisa, in possesso di una tecnica salda e sicura, che sostiene una vocalità brillante dal timbro caldo e brunito. La sua prova di canto è pressoché ineccepibile. C'è solo da domandarsi se la tessitura scritta per Preziosilla possa essere agevole per le sue corde, oppure eccessivamente rischiosa.

Anche Roberto De Candia porta una nota di lucentezza sul palcoscenico del Teatro Regio. L'assidua frequentazione del repertorio rossiniano gli permette di affrontare con particolare naturalezza il ruolo di Melitone, forse addirittura con risultati migliori. Molto probabilmente la maturazione della sua vocalità è complice di questo bel colore e sarà molto interessante ascoltarlo prossimamente nei panni di Falstaff.

Michele Pertusi è il cantante elegante di sempre. Ogni volta che sale in palcoscenico, oltre alle sue doti interpretative e alla sua presenza autorevole, col suo stile e la sua classe esegue delle vere e proprie lezioni di canto. Il fraseggio è più che espressivo e la resa di “Non imprecare; umiliati” è sinceramente toccante. Nonostante la perfezione della sua tecnica e l'eccellenza nell'uso della parola, per il ruolo di Padre Guardiano è preferibile una vocalità più scura e stentorea, tale da differenziarsi da Fra' Melitone e da uscire protagonista nella scena della vestizione.

Bravi Simon Lim e Daniele Cusari nelle parti di Calatrava e dell'alcade.

Completano il cast Raffaella Lupinacci come Curra, Andrea Giovannini nei panni di Mastro Trabuco e Gianluca Monti nel ruolo del chirurgo.

 
 
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