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Recensione opera Fidelio di L. V. Beethoven a La Scala di Milano

William Fratti, 19/12/2014

In breve:
Milano - Recensione dell'opera Fidelio di Ludwig Van Beethoven in scena al Teatro La Scala di Milano il 16 dicembre 2014.


Per la terza volta negli ultimi quaranta anni, Fidelio di Ludwig Van Beethoven inaugura la Stagione del Teatro alla Scala di Milano e segna anche l'addio del Direttore musicale Daniel Baremboim, che conclude il suo mandato con un'opera che sembra rappresentare un sunto del suo saper fare musica. La scelta di utilizzare la prima versione dell'ouverture – la Leonore II op. 72 a – e la conseguente modifica di alcune scene, forse non rispetta il valore ultimo del compositore, ma quasi certamente ne rispetta il volere ultimo, in un crescendo di tensione drammatica che, nella revisione finale, viene in parte a mancare, esplodendo fin dall'inizio.

Allontanando il dibattito, che da due secoli esatti si arrovella attorno alle varie edizioni sia dell'opera sia dell'ouverture, oggi pare certamente più doveroso soffermarsi sulla lettura di Baremboim che in Beethoven, più che negli autori italiani, trova il suo terreno di elezione. Tutto il primo atto è eseguito con una guida decisamente prolissa, che forse non appassiona e non fa sfarfallare lo stomaco, ma racconta la musica del compositore tedesco con una precisione quasi maniacale, una ricchissima tavolozza di colori e un suono pulitissimo. Fortunatamente il secondo atto prende maggior tono e il finale è ben eseguito, anche se è da notarsi una certa mancanza d'accento drammatico, oltre ad un eccessivo fragore che copre le voci.

Anja Kampe porta in scena il suo eccellente personaggio, sempre molto ben riuscito tanto come Fidelio quanto come Leonore. Purtroppo vocalmente non è più così apprezzabile, poiché tutta la zona acuta è straziante fin dall'inizio e la resistenza è temporalmente limitata, scomparendo quasi del tutto nella lunga pagina conclusiva, dove arriva purtroppo sfiatata.

La accompagna Klaus Florian Vogt, limpido e musicale, che risolve molto bene le insidie dell'aria di Florestan.

L'interprete migliore è chiaramente Kwangchul Youn, che esegue il ruolo di Rocco con omogeneità e precisione, sempre aderente alla sua linea di canto e con buon uso dei colori, seppur un poco baritonale.

Falk Struckmann risolve l'aria di sortita di Don Pizzarro in maniera piuttosto mediocre, un poco calante e scarsamente stentoreo. Decisamente migliore è il successivo duetto con Rocco e riesce abbastanza bene in tutto il resto dell'opera.

Migliore, da un punto di vista musicale, il Don Fernando di Peter Mattei, anche se le note basse sono alquanto abbozzate e lontane dall'essere salde e ben poggiate.

Buona la prova della coppia Marzelline e Jaquino con i delicati e leggiadri Mojca Erdmann e Florian Hoffmann. Riuscitissimo è il quartetto con Rocco e Fidelio.

Eccellente il Coro del Teatro alla Scala diretto da Bruno Casoni, con una nota di merito per Oreste Cosimo e Devis Longo nelle parti dei due prigionieri.

Per quanto riguarda lo spettacolo di Deborah Warner, con scene e costumi di Chloe Obolensky, il pregio è quello di essere pulito, filologico, in linea con lo sviluppo musicale e drammatico, pur in una trasposizione moderna. Il difetto è quello di non aver dato alcun nuovo spunto, di aver seguito solo le note del libretto, pertanto di totale inutile spesa, soprattutto in questo forte momento di crisi – economica ed artistica – che non dà segno di cessare, anzi sembra continuamente peggiorare.

 
 
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