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Recensione opera Otello al Festival Verdi di Parma

William Fratti, 16/10/2015

In breve:
Parma - Recensione dell'opera Otello di Giuseppe Verdi in scena al Festival Verdi di Parma il 1 ottobre 2015


Dopo la nomina della nuova dirigenza, quello del 2015 avrebbe dovuto essere il Festival del rilancio e invece sembra essere il Festival delle beffe, annunciato e presentato da continui cambi di cast, lettere e articoli alla stampa locale, con attacchi, smentite e scusanti.

Parma, che un tempo era la capitale della musica, il solo teatro di tradizione a reggere il confronto con gli enti lirici, se non addirittura superiore in qualità, oggi è solo l'ombra di se stesso.

Si vuole continuare a fare i grandi col nome del più popolare compositore di tutti i tempi, ma il livello è quello della provincia, esattamente come accade agli altri festival fittizi italiani, poiché di vero festival ne esiste uno soltanto ed è quello di Pesaro.

E come giustamente ha fatto notare qualche loggionista accanito, uno dei pochissimi rimasti, la colpa non è solo delle dirigenze fallimentari che si sono susseguite, presidenza compresa, ma anche del pubblico: senza andare troppo indietro nel tempo, ai famosi tempi d'oro, ma restando nel XXI secolo, il rumore sollevato dagli spettatori durante un disastroso Rigoletto del 2005 ha costretto molti alle dimissioni; un'altrettanto rovinosa Aida nel 2012 ha fatto molto meno scalpore; l'Otello di oggi, che andrebbe benissimo su un altro palcoscenico provinciale tranne che a Parma, ha provocato solo qualche flebile mormorio, molto ben coperto dagli applausi e dalle acclamazioni di approvazione.

Non sussisterebbe alcun problema se tutti fossero contenti; ma il problema c'è ed è enorme, poiché la città si lamenta per strada invece che in sala, ammettendo di non fischiare per paura che il teatro chiuda; i biglietti di platea della prima costano 250 euro e 140 per le repliche e i pochi turisti che sono rimasti – poiché le date delle opere non sono adeguatamente incastrate per permettere di assistere a tutti gli spettacoli in pochi giorni – si trovano a pagare prezzi altissimi, credendo di trovare a Parma il vero Verdi, e poi non si suona nemmeno l'edizione critica dell'opera restando nel solco della tradizione.

La parte musicale di questa inaugurazione è sicuramente la migliore di tutta la produzione, pur senza faville determinanti.

La Filarmonica Arturo Toscanini se la cava molto bene, anche se il suono non è particolarmente cristallino e sul podio Daniele Callegari compie un buon lavoro di amalgama tra buca e palcoscenico, ma non si prodiga in una profonda lettura alla ricerca del colore.

Una mancanza ancora più profonda nei cromatismi, nelle sfumature, nel fraseggio, nell'espressività, nell'accento, nel saper cantare con classe ed eleganza la si ritrova in Rudy Park. La voce c'è ed è bella, ma poggia quasi esclusivamente sulla natura e non sulla tecnica, natura che è generosa nell'emissione, ma mortalmente noiosa mancando in tutto ciò che può rendere una minima emozione all'ascolto. Rudy Park canta le note di Otello – quelle alte, poiché nelle basse talvolta perde fiato – ma non il ruolo. E il loggione lo lascia passare indenne, pur debole negli applausi.

È invece accolta in maniera contrastante la Desdemona di Aurelia Florian, che attira su di sé qualche leggero mormorio, presto zittito dai parmigiani che l'hanno adottata e che la mettono in palcoscenico per la terza volta consecutiva in un ruolo sbagliato. Le note scritte per Desdemona sono semplici, è un ruolo privo di particolari difficoltà, ma è troppo centrale per la voce di Florian, che è costretta a scurire e imbrunire i suoni al di là di ogni misura, risultando del tutto innaturale e ciò la spinge, in alcuni punti, a essere velata e opaca.

Il migliore dei tre protagonisti è Marco Vratogna e ciò può dare la misura del livello artistico della produzione. Il baritono, già bastonato dal loggione nello stesso ruolo nel 2007, torna in forma migliore, ma comunque lontano dall'essere uno Jago di riferimento. La dizione è sinceramente eccellente, ma non così eloquente è il fraseggio; i piani sono eleganti, ma sbaglia in toto “il fazzoletto” e fa risvegliare “il leone” che in questo caso non è Otello bensì la galleria; bellissimi gli acuti della grande aria di secondo atto, ma inconcepibili le agilità macchinose e piene di “h” in “Innaffia l'ugola!”. È però doveroso notare che è il solo interprete ad interpretare! Dunque a lui soltanto va il nostro plauso.

Adeguato al resto del cast è il Cassio di Manuel Pierattelli, che ha cantato meglio in altre occasioni; si è fatto notare positivamente anche il Lodovico di Romano Dal Zovo. Gli altri comprimari sono il Roderigo di Matteo Mezzaro, il Montano di Stefano Rinaldi Miliani, l'Emilia di Gabriella Colecchia e l'araldo di Matteo Mazzoli.

Eccellente la prova del Coro del Teatro Regio di Parma preparato da Martino Faggiani, affiancato dal bravo Coro di voci bianche e giovanili Ars Canto guidato da Gabriella Corsaro.

Il più contestato è Pier Luigi Pizzi, che con questo spettacolo non fa certo onore alla sua lunga e brillante carriera. Bruttina, seppur funzionale, era La battaglia di Legnano del 2012, molto brutto è l'Otello di oggi. Prima di tutto la regia è inesistente; non si può neppure dire che abbia seguito la tradizione, poiché non c'era alcuna cura dei movimenti e della gestualità negli interpreti; i soli che abbiano reso un minimo di recitazione solo coloro che hanno già cantato più volte questi ruoli. L'impianto scenografico, oltre ad essere pericolosamente scivoloso con un declivio pronunciatissimo, è fatto di cubi e quadrati che hanno poco significato e del medesimo colore betulla dei mobili Ikea, che con l'aggiunta delle porte nere negli ultimi atti sembra di essere nelle stanze di un ostello scandinavo.

I costumi sono così sbagliati da sembrare presi all'ultimo minuto dalle casse di una soffitta: tuniche nelle varie tonalità di sabbia e fango in stile Nabucco per il coro uomini, contro colori inadeguatamente vivaci per le donne; pelle fin troppo già vista e rivista per tutti gli uomini d'arme eccetto Otello, intunicato e scalzo come se non avessero fatto in tempo a preparagli un costume; Desdemona ed Emilia sembrano vestite coi due costumi di Lida da La battaglia di Legnano.

Apparentemente buone le luci di Vincenzo Raponi, ma non si può ben capire con tutto quel giallino betulla.

Da dimenticare le coreografie di Gino Potente.

E per fortuna che a Parma c'è il miglior fotografo di teatro, che con la sua macchina sa ingentilire la qualunque.

 
 
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