Nell'ambito del Festival Mediterranea di Gozo, il
Teatru Astra di Victoria mette in scena Aida di Giuseppe Verdi
con la regia di Enrico Stinchelli, la cui visione del
grand-opéra verdiano non avviene attraverso scenografie imponenti, ma tramite le
masse artistiche che, vestite di colorati e scintillanti costumi, popolano il
palcoscenico in tutti i pezzi d'assieme. Efficacie anche la coreografia dorata
durante il trionfo.
Sul podio della Malta Philharmonic Orchestra siede
Joseph Vella, che attacca il preludio col suo gesto lento e,
inesorabilmente disattento a ciò che accade oltre la partitura poggiata sul suo
leggio, procede incurante dell'enorme fatica che i solisti devono compiere nel
prendere fiati lunghissimi o dove non sono previsti per sopravvivere allo
scempio che sta compiendo sulla musica di Verdi. E allo stesso modo resta
impassibile quando le diverse sezioni d'orchestra vanno per strade diverse, già
dal preludio, o quando gli strumenti a fiato spezzano il suono per prendere
aria, o quando i cori sono totalmente fuori tempo. Inascoltabili le trombe
egizie della marcia trionfale. Insufficiente anche la prova del Teatru
Astra Opera Chorus in collaborazione con il Coro Lirico
Siciliano, soprattutto nella sezione femminile, guidati da
Maria Frendo e Francesco Costa.
Silvia Dalla Benetta, pur avendo alle spalle una carriera di
oltre vent'anni, non è mai entrata nell'Olimpo seppur continui a dimostrare che,
con una tecnica ferrata e uno stretto controllo dell'organo vocale, si possa
fare del buon canto anche in repertori apparentemente dissimili, ma che la
tradizione del Novecento ha voluto fortemente diversificare. In questi ultimi
mesi è gradualmente passata dalle colorature di Meyerbeer e Auber al classicismo
di Mozart e al belcanto del Bellini drammatico fino ad approdare al debutto in
Aida. Considerandone la resa la si potrebbe definire un soprano assoluto. Il suo
debutto nel ruolo verdiano è di grande effetto e soprattutto di intelligenza
musicale: naturalmente non va a ricercare tinte o timbri che non possiede, ma
gioca le carte dell'intonazione perfetta, del fraseggio elegante e del legato
raffinatissimo, su una tavolozza di colori e sfumature dove il suono è sempre
pulito e omogeneo, facendo uscire un personaggio diviso tra l'amore per l'uomo e
l'amore per la patria, tra il timore per gli Dei e il timore per i Faraoni. Ma
ciò che colpisce davvero è l'aver potuto ascoltare tutte le note, dalla prima
all'ultima, anche quelle spesso omesse nei pezzi d'assieme, soprattutto nel
finale secondo dove il soprano vicentino sovrasta continuamente i cori.
La accompagna il valido Radames di Antonino Interisano,
che possiede sempre acuti squillanti e ben posizionati in avanti.
Ottima anche l'interpretazione di Sanja Anastasia, che rende
una Amneris alquanto drammatica, arrivando alla grande scena del quarto
atto con un impeto decisamente marcato che ne sottolinea la disperazione. La sua
vocalità calza a pennello con questo tipo di ruoli, dove le tinte scure e
brunite si devono sposare con un fraseggio particolarmente teatrale, per poi
sfociare verso l'acuto col giusto vigore, il tutto impreziosito da una
recitazione davvero emozionante. Volendo cercare il pelo nell'uovo,
necessiterebbe solamente di maggior morbidezza nei momenti in cui esce dai suoni
di petto.
Devid Cecconi, che salvo errori debutta nel personaggio di
Amonasro, esegue la parte con una perizia e un'energia davvero
notevoli. Il bravo baritono aveva già dimostrato il suo smalto in recenti
occasioni, tra cui Giovanna d'Arco sia al Festival Verdi di Parma, sia alla
Scala. La sua sortita nel finale secondo già presagisce il nerbo di terzo atto,
in cui mostra tutta la brillantezza e l'eloquenza che occorrono al breve ma
importante ed intenso ruolo verdiano. Il duetto tra Dalla Benetta e
Cecconi è indubbiamente la pagina migliore di tutta l'opera, in cui i
due cantanti si prodigano in maniera vocalmente impeccabile.
Carlo Colombara è un Ramfis autorevole;
Petri Lindroos è un Re molto efficace; pure molto buona è la
resa della Sacerdotessa di Georgina Stalbow e del messaggero di
Frans Mangion.
Scroscianti e calorosi applausi per tutti gli interpreti al termine di una
lunghissima e quasi interminabile serata, con diverse acclamazioni per i quattro
protagonisti.
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