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Recensione opera lirica Rosmonda d'Inghilterra di Gaetano Donizetti al Teatro Donizetti di Bergamo

William Fratti, 28/11/2016

In breve:
Bergamo - Recensione dell'opera lirica Rosmonda d'Inghilterra di Gaetano Donizetti in scena al Teatro Donizetti di Bergamo il 25 novembre 2016.


Dopo i buoni esiti dello scorsa e rinnovata stagione, anche quest'anno la Fondazione Donizetti ce la mette tutta per mantenere alto il livello qualitativo delle proposte, di cui Rosmonda d'Inghilterra rappresenta l'apice.

Come già scritto a ottobre in occasione delle recite fiorentine il melodramma, che è stato riesumato dal suo lungo e ingiustificato oblio solo negli anni Settanta a Londra e Belfast per poi ricomparire un ventennio più tardi in una registrazione di Opera Rara, è stata oggetto di una revisione critica sull'autografo a cura di Alberto Sonzogni per la Fondazione Donizetti di Bergamo.

Eseguita in forma di concerto all'Opera di Firenze per la prima volta in Italia in tempi moderni è ora allestita sul palcoscenico bergamasco in uno spettacolo ideato da Paolo Rota, con scene e luci di Nicolas Bovey e costumi di Massimo Cantini Parrini.

L'impianto semplice, minimalista e suggestivo lascerebbe spazio allo sviluppo psicologico dei personaggi se non fosse per il grande vuoto che crea noia e monotonia. La gestualità degli interpreti è spesso assimilabile al solo estro degli artisti; le controscene che dovrebbero riempire, spiegare, sottolineare, anticipare, sono davvero troppo poche. Non si può dire che lo spettacolo non sia riuscito, ma lo si potrebbe definire soltanto un abbozzo.

Discreta la prova dell'Orchestra Donizetti Opera e del Coro diretto da Fabio Tartari, entrambi composti da ottimi professionisti, ma che per funzionare al meglio avrebbero bisogno di maggior compattezza. Così come a Firenze la bacchetta è nelle mani di Sebastiano Rolli, sempre eccellente nello stile, ma ancora avaro d'accenti.

Protagonista è sempre Jessica Pratt, una delle migliori interpreti del belcanto italiano che, rispetto alle esecuzioni concertistiche, perde un poco di cristallo nei sovracuti. Ottimi i colori e le sfumature del personaggio.

Si riconferma raffinatissima maestra di eleganza la Leonora di Eva Mei, che addirittura riesce a migliorare nei fraseggi e nelle tinte drammatiche, mantenute sempre uniformi alla linea di canto, con suoni bassi sempre misti, mai di petto, onde preservare l'impeccabile stile belcantista, reso con gusto e classe impareggiabile.

Dario Schmunck è un Enrico II efficace solo a tratti. La vocalità è talvolta brillante e squillante, talaltra stimbrata, non riuscendo dunque a trasmettere un senso di continuità.

Nicola Ulivieri è un Clifford sempre elegante, abile fraseggiatore, ottimo interprete nella vocalità, nelle sfumature, nello stile e nella recitazione.

Ancora una volta perfetto è l'Arturo di Raffaella Lupinacci, che trova terreno particolarmente fertile in questo tipo di ruoli di cui abbonda il romanticismo italiano, con la speranza di riascoltarla presto.

 
 
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