CHI non ha mai cantato almeno una volta nella vita La donna è mobile,
Figaro qua Figaro là, Vincerò? Sono arie che fanno parte della nostra
identità. L'Italia è la patria del melodramma, l'abbiamo inventata noi l'opera,
il genere musicale più longevo che ci sia". Così parla Elio, narratore
d'eccezione in un viaggio alla scoperta dei capolavori di Monteverdi,
Rossini, Donizetti, Bellini, Verdi, Puccini, dei personaggi e delle
storie che animano le loro opere, le storie d'amore e i tradimenti, le passioni
e i gesti eroici, gli intrighi, le gelosie, i colpi di scena. Su Rai5 va in onda
L'opera italiana, che è anche una collana di venti dvd editi da
Repubblica, in cui Elio ripercorre la genesi, la storia, il successo, le alterne
vicende delle opere più celebri, con le testimonianze di artisti e personaggi
del mondo della lirica. "L'occasione per conoscere un'eccellenza italiana -
spiega - molti conoscono i titoli delle opere più famose ma le opere in sé
non sono così note. È musica bellissima, con un termine più raffinato potremmo
definire 'di qualità' ma preferisco bellissima perché quando nomini la qualità
la gente si insospettisce...".
Parla da grande esperto di opera.
"Parlo, ma in realtà non sono da annoverare fra gli esperti. È un terreno che
sto esplorando adesso ma con grande felicità perché scopro di continuo cose
nuove. Mi piacerebbe che altri, come me, scoprissero quest'avventura in un mondo
che, pur antichissimo, ci risulta nuovo. Ho scoperto poco tempo fa la trama di
Rigoletto, è un intreccio micidiale, si arriva a un quartetto in cui ci sono due
diverse storie che s'intrecciano, cantate contemporanamente... Magnifico.
Interessantissimo, anche dal punto di vista narrativo".
Si è
appassionato. "Sì, perché è una bella impresa convincere le persone
di una cosa, di un'avventura che vale la pena intraprendere. Poi c'è un valore
aggiunto, ossia che nel novanta per cento dei casi parliamo di creazioni
italiane. L'opera è nata in Italia, la maggiorparte dei compositori d'opera sono
italiani. Si fa un gran parlare dell'eccellenza italiana e l'opera lo è, siamo
noti in tutto il mondo per le opere. Lei sa perché Condoleezza Rice, l'ex
segretario di Stato americano, si chiama così? Perché il padre era un grande
appassionato d'opera e voleva chiamare sua figlia 'Con dolcezza', che è una di
quelle indicazioni che vengono date dai compositori, come 'forte', 'fortissimo',
'adagio'... Poi, si sa, gli americani non vanno forte con la lingua e ci ha
messo quache lettera in più e in meno...".
Il melodramma nasce
come genere super popolare, ma oggi non è più così, soprattutto fra i giovani.
"Da anni mi arrovello su questo: perché i ragazzi non si innamorano subito di
una cosa così bella? Perché non c'è martellamento. Oggi, quando spunta una cosa
nuova, inizia il martellamento dei media e uno dice 'andiamo a vedere'. Questo
per le opere non accade. Ma c'è anche il fatto, ed è una mia idea ma secondo me
ci ho azzeccato, che non si capisce quando i cantanti cantano. Bisogna
impegnarsi per far capire che le storie raccontate nelle opere sono
interessantissime, coinvolgenti, fanno piangere, ridere, hanno una complessità,
un intreccio che oggi è difficile trovare se non in qualche grande film".
E una bella musica. "Di livello altissimo. Con tanti
altri, come me innamorati della musica, condivido la preoccupazione per il
livello attualmente bassissimo della musica. Non solo in Italia. C'è una crisi
creativa mondiale, basterebbe semplicemente aprire il forziere delle grandi
opere per trovare musica di una qualità, di una bellezza e complessità che oggi
ce la sognamo. E infatti cinema e tv spesso hanno saccheggiato dall'opera. Basta
pensare a Una lacrima sul viso e a Una furtiva lacrima: l'esempio fa sorridere
ma in entrambi i brani il cantante, da una lacrima che appare sul volto di una
donna, si rende conto che quella donna è innamorata".
In questa
esplorazione ha scoperto di preferire qualcuno ad altri? "Data la
mia natura, preferisco quelli che mi fanno ridere. Su tutti Mozart, che era una
specie di rockettaro, e Rossini. Rossini diceva che il modo migliore per
scrivere una ouverture è ridursi all'ultimo giorno prima del debutto perché in
quel modo, sotto pressione, liberi tutta la tua energia creativa. Alla fine quei
compositori, che vediamo ritratti nei quadri o nelle statue come se non fossero
esseri umani, in realtà hanno composto le loro opere come un autore, oggi,
compone le sue canzoni, con lo stesso scopo: arrivare al pubblico. Sono così
grandi perché si erano posti l'obiettivo di parlare ai loro contemporanei ma
riescono ancora a parlare a noi, oggi. Senza dubbio, per chi ha voglia, per chi
è stufo di ascoltare quel che si ascolta, vale la pena buttarsi alla scoperta
dell'opera, come se fosse un mondo inesplorato".
Fonte: La Repubblica
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