Negli anni in cui si stavano ultimando le edizioni critiche dell'intera opera
rossiniana, ci si ponevano numerose domande in merito al futuro del ROF e della
Fondazione, ma oggi si può sinceramente affermare che il loro lavoro è ancora
assolutamente indispensabile. Lo dimostra anche il titolo inaugurale
dell'attuale edizione del Festival, che dopo solo diciassette anni si presenta
con una nuova forma drammaturgica, più improntata al senso teatrale della
tragedia che non alla spettacolarità del canto e con molta musica in più. Non
c'è alcun dubbio che continuando a cercare, scavare e studiare sia possibile
scoprire ancora tanta novità nell'opera del compositore pesarese.
Roberto Abbado, coadiuvato da Andrea Severi,
è indubbiamente uno dei punti di forza di questa produzione, sia per la sua
competenza in ambito rossiniano, sia per il lavoro svolto in passato sulla
partitura di Maometto II. È un vero e proprio collante tra
buca, palcoscenico e pure la platea: ogni passaggio si risolve omogeneamente,
perfettamente legato a quello successivo, in un dialogo continuo con gli
interpreti vocali e l'orchestra e per questo direttamente connesso con le
emozioni e i sentimenti del pubblico. Il debutto a Pesaro dell'OSN è un vero
successo, poiché oltre a esprimere una purezza di suono oltre ogni misura, si
dimostra anche assolutamente in grado di dare vita a colori e sfumature di una
certa intensità drammatica in totale sincronismo col canto.
Tanta magnificenza purtroppo non la si può riscontrare nello spettacolo
creato da La Fura dels Baus - l'altro grande novizio del ROF -
e per vari motivi. Innanzitutto il filo conduttore che risiede nella guerra per
l'acqua, se non fosse stato tanto promosso attraverso la campagna mediatica
sarebbe stato ben difficile da cogliere. Un allestimento fatto di boccioni per
erogatori che non vengono quasi mai toccati, non può certo risvegliare le
attenzioni del pubblico. E una grande occasione persa per poter davvero
raccontare questa storia è la musica delle danze, momento in cui una pantomima
fatta come si deve avrebbe potuto esprimere un vero significato. E invece prima
ci si è persi in un video con versi di Lord Byron -
interessante durante l'ouverture, ma la seconda volta diventa ridondante e
soprattutto distoglie l'attenzione dalla musica - e poi è stata eseguita una
scena mimica davvero brutta e giustamente contestata dalla platea.
Più azzeccato è il lavoro svolto da Carlus Padrissa sulla
trama e sui sentimenti dei personaggi: centratissimo in tutto primo e terzo
atto, è invece un po' debole in secondo, dove i tormenti interiori e le tragiche
decisioni prese da Mahomet e Pamyra non sono ben rese e l'azione
risulta troppo lenta. Utili allo scopo i costumi di Lita Cabellut,
atemporali, forse futuristici, quasi alieni. Ottime le luci di Fabio
Rossi.
Molto ben riuscita anche la prova del Coro del Teatro Ventidio Basso
preparato da Giovanni Farina.
Debuttante a Pesaro e nella parte di Mahomet, ma già interprete di
Maometto e di numerosi altri ruoli rossiniani nei teatri più importanti del
mondo, è Luca Pisaroni, eccellenza italiana che nel nostro
Paese è ancora tutta da scoprire. La sua vocalità da bass barytone, cresciuta e
perfezionata tra barocco, classicismo e belcanto, è perfetta per questo
personaggio autoritario, innamorato, conflittuale, forse cedevole, sapendosi
muovere con duttilità all'interno della tessitura, arricchendola di fraseggi e
accenti che la rendono viva, reale e umana. Il suo timbro si impone su tutti ed
è assolutamente auspicabile un suo futuro ritorno al Festival. Il 15 agosto
Luca Pisaroni si è anche cimentato in un delizioso recital, accompagnato al
pianoforte dall'eccellente Giulio Zappa, interpretando diversi
pezzi di Schubert col giusto timore reverenziale, emotivamente
intenso, profondo e toccante; carattere intimo che poi riporta anche
nell'esecuzione raffinata di alcune tra le più belle pagine di Liszt.
Fraseggio eloquente, eleganza nei portamenti e gusto nell'interpretazione
contraddistinguono poi il suo cantare Rossini, con alcuni pezzi provenienti da
Soirée musicales e da Péchés de vieillesse.
Nino Machaidze dimostra una miglior padronanza tecnica
rispetto a precedenti occasioni, sia nelle colorature, che qui sono meglio
sgranate, sia nell'appoggio a beneficio dell'intonazione. Ma nonostante il bel
timbro di sempre, la sua Pamyra risulta povera d'accenti e
d'espressività - se non nel patetico - insipida nelle intenzioni drammatiche ben
poco chiare, talvolta in difetto anche nel legato.
Anche Sergey Romanovsky debutta al ROF ed è una
piacevolissima sorpresa. Vocalità luminosa e ben timbrata, ottima salita
all'acuto con voce piena, notevole interpretazione rossiniana sotto ogni punto
di vista. Oltre a vestire i panni di Néoclès, il17 agosto si cimenta in
un concerto, accanto al collega John Irvin e all'eccellente
Michael Spyres, dove conferma le sue doti soprattutto in
termini di emissione, sicurezza e coerenza nella linea di canto, oltre a una
salda discesa verso le note più basse tipiche del baritenore.
Pure John Irvin è per la prima volta a Pesaro e tanto col
ruolo di Cléomène quanto con l'esecuzione del concerto del 17 agosto,
mostra una grande padronanza tecnica, ma un poco povero di fraseggio e di
intensità drammatica, oltre a un timbro davvero molto leggero. Va comunque
segnalato che il terzetto “Céleste providence” che vede coinvolti
Nino Machaidze, Sergey Romanovsky e John Irvin
è sinceramente toccante; momento in cui i tre interpreti riescono tutti a
comunicare la commozione che li pervade.
Ennesima novità al ROF 2017 è Carlo Cigni, che porta in
scena un Hiéros autorevole, davvero anticipatore di uno Zaccaria.
L'unica pecca della sua performance è che forse risulta troppo verdiano
piuttosto che rossiniano. Ma la scena della profezia è forse la pagina
teatralmente meglio riuscita della serata.
Ottimi i morbidissimi acuti di Cecilia Molinari nella parte
di Ismene.
Buona la prova di Xabier Anduaga e Iurii Samoilov nei ruoli
di Adraste e Omar.
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