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Recensioni opera lirica Il pirata di Vincenzo Bellini al Teatro Alla Scala di Milano

William Fratti, 04/07/2018

In breve:
Milano, 29 giugno 2018 - Recensione dell'opera lirica Il Pirata di Vincenzo Bellini in scena al Teatro Alla Scala di Milano il 29 giugno 2018.


Dopo oltre sessant'anni di assenza Il pirata di Vincenzo Bellini torna sul palcoscenico del Piermarini, proseguendo il nuovo corso belcantista del Teatro alla Scala che ha già visto riproporre titoli come Giovanna d'Arco, La gazza ladra e Anna Bolena.

La sera della prima scorre fluidamente attraverso poche interruzioni per applausi piuttosto tiepidini, che invece si scaldano al termine della rappresentazione arricchiti di forti contestazioni.

Piuttosto singolare è il comportamento del personale di sala delle gallerie, che durante l'esecuzione lascia gli spettatori chiacchierare e fotografare indisturbati, mentre interviene cercando di zittirli al momento della protesta.

Il malcontento del pubblico colpisce tutta la squadra della produzione capitanata dalla regia di Emilio Sagi, con scene di Daniel Bianco, costumi di Pepa Ojanguren e luci di Albert Faura.

Lo spettacolo è piuttosto interessante da vedere, abbastanza suggestivo, giocato su colori tenui e freddi, pareti riflettenti, attrezzeria minimalista, con un lavoro di regia che offre qualche controscena. Purtroppo ciò che manca è uno spunto che crei un interesse al di là del semplice raccontare e soprattutto, nel titolo che ha dato il via al Romanticismo nell'opera italiana, si trascura il gesto teatrale naturalmente descritto dalla musica di Bellini.

Lo scontento del loggione è rivolto anche alla direzione di Riccardo Frizza, che opta per un'edizione piuttosto integrale, col solo taglio di una manciata di frasi, ma con tutti i da capo comprensivi di variazioni. Sfortunatamente non si sentono accenti e colori personali, né sfumature particolarmente belliniane, pertanto il suo accompagnare e lasciar fraseggiare gli interpreti avrebbe funzionato solo se questi avessero fraseggiato.

La star del momento Sonya Yoncheva veste i panni di Imogene, mettendo in mostra la sua inconfutabile bellezza, un carisma assolutamente magnetico e una presenza scenica davvero invidiabile, oltre ad una certa imponenza e importanza vocale di cui è naturalmente dotata. Ed è un peccato che i teatri di tutto il mondo si accontentino di ciò, poiché le carenze e le lacune tecniche sono diverse e si fanno sentire, salvo che si resti ipnotizzati dal suo dolce viso. La zona centrale è morbida, ma i gravi sono snaturati e cambiano colore a causa di un eccessivo spingere che le fa perdere brillantezza negli acuti, spesso non sostenuti, di conseguenza calanti, talvolta urlati. E una cantante di tale livello non dovrebbe essere stonata, soprattutto in un ruolo che non possiede particolari difficoltà. Né dovrebbe atteggiarsi a diva hollywoodiana degli anni trascorsi, ma cercare almeno di esprimere un minimo di raffinatezza, possibilmente in accordo col testo.

Il temibile ruolo di Gualtiero è eseguito da un discreto Piero Pretti, per il quale si è scelta la tonalità più adeguata alla sua voce. Certamente non ci si potevano aspettare le puntature da contraltino e neppure gli accenti drammatici tanto in voga negli anni cinquanta e sessanta, mentre deve essere riconosciuto il merito di aver eseguito una parte scritta e personalizzata per le corde di un fuoriclasse. Probabilmente troppo concentrato sull'intonazione e sul suono, appena un po' tirato negli acuti più estremi, perde carattere nelle pagine in cui sarebbe stato necessario un accento più eroico, come pure poco si sentono i fraseggi più dolci e romantici.

Altre forti contestazioni sono rivolte a Nicola Alaimo che esegue la parte di Ernesto con una voce poco timbrata, che non corre e che spesso è coperta da altri suoni.

Piuttosto buona è la prova di Riccardo Fassi nel ruolo di Goffredo, come pure Marina De Liso in quello di Adele. Francesco Pittari è un adeguato Itulbo.

Pure buona è la performance del Coro del Teatro alla Scala preparato da Bruno Casoni.

 
 
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