Dietro le quinte del Festival Verdi 2018 - Un giorno di regno
Seconda opera del Cigno di Busseto e secondo titolo nel cartellone del
Festival Verdi 2018, Un giorno di regno è uno
dei lavori più sfortunati del compositore e uno dei meno rappresentati, ma a
Parma si tratta della terza messinscena in meno di due decenni.
Quali differenze si ascolteranno con l'edizione critica rispetto alle
due precedenti esecuzioni?
“Innanzitutto vi sono alcuni interventi
della censura milanese che l'edizione critica corregge per la prima volta - ha
detto Francesco Izzo, direttore del comitato scientifico per il
Festival Verdi. Un esempio notevole è nell'aria della Marchesa nel primo atto,
dove le autorità nel 1840 soppressero un riferimento poco lusinghiero ai
“principi” e al “soglio”. Queste sono le cose che anche l'orecchio meno avvezzo
a cogliere differenze musicali può notare e apprezzare; un testo verbale
accuratamente ripulito da interventi esterni risulta quasi sempre più efficace
dal punto di vista drammatico. Musicalmente poi la partitura presenta migliaia
di interventi che correggono distorsioni di copisti frettolosi o sbadati, i
quali nell'Ottocento, spesso lavorando a ritmi vertiginosi, tralasciavano o
travisavano molti dettagli della notazione verdiana. Dunque accenti venivano
scambiati per segni di diminuendo; legature venivano arbitrariamente estese o
troncate; segni di dinamica alterati od omessi e così via. L'edizione critica in
questo senso è un po' come il restauro di un'opera pittorica, in cui si
rimuovono le tracce del tempo, dai fumi dei lumi ad olio che incupiscono i
colori alle forme aggiunte per scrupolo morale o per mutate esigenze estetiche”.
Quanto Rossini c'è dentro a questo lavoro? “Poco, tutto
sommato. È inteso che l'influenza dell'opera buffa rossiniana, in via indiretta,
si faccia sentire, per esempio nei duetti per i due bassi buffi. Ma i modelli
cui Verdi fa riferimento sono soprattutto quelli dell'opera buffa
post-rossiniana, della quale nei suoi anni di studio a Milano aveva sviluppato
una conoscenza profonda. Dunque Donizetti, naturalmente, ma anche Luigi Ricci e
altri compositori oggi dimenticati, le cui opere si eseguivano alla Scala e
negli altri teatri milanesi”.
Per anni si è speculato in merito
alle vocalità dei protagonisti: Belfiore
ed Edoardo sono già baritono e tenore
verdiano? Oppure sono più assimilabili a Rossini, Bellini e Donizetti? La
Marchesa e Giulietta sono soprani o mezzosoprani? In tal senso quanto contano le
variazioni per meglio adattare la parte ai cantanti?
“Ottima
domanda. All'epoca i tipi vocali non erano così definiti; i compositori, Verdi
compreso, lavoravano pragmaticamente con interpreti specifici, scrivendone le
parti in un certo senso “su misura”. Edoardo è tenore forse più donizettiano che
verdiano e Belfiore non è Macbeth, né il Don Carlo di Ernani. Ma dobbiamo
rifuggire dai luoghi comuni e dalle categorizzazioni a priori. Vi sono momenti
in cui la “voce” verdiana emerge con chiarezza. Per quanto riguarda le due prime
donne, la parte di Giulietta è più “bassa”, ma anche più lirica; nel 1840 fu
affidata a un'interprete giovane. La parte della Marchesa, come si addice al
ruolo di una nobildonna, è più audace e ambiziosa e può essere affrontata da un
soprano con un registro grave importante, o da un mezzosoprano con dei buoni
acuti. In tutti i casi le variazioni sono non solo auspicabili, ma necessarie
per far vivere questa musica e per far sì che gli interpreti possano dare il
massimo impadronendosi della musica che cantano”.
Qual è il vero
valore aggiunto delle edizioni critiche? Cosa comportano e come si svolge il
lavoro?
“Esistono edizioni critiche che seguono un metodo più
capillare, come quelle delle opere di Bellini, Rossini e Verdi; altre più
pragmatiche, come quelle di Donizetti e Puccini, il cui apparato critico è più
snello. Ma il proposito è sempre quello di rettificare errori evidenti, spesso
madornali, causati da interventi esterni e non correlati alla volontà del
compositore; e di rendere disponibili eventuali lezioni alternative, pezzi
sostitutivi e versioni differenti. La preparazione di un'edizione critica è
sempre un lavoro di squadra; ogni volume ha un suo curatore, il cui lavoro è
comunque supervisionato dal direttore responsabile e da altri curatori e
redattori. Nel caso di Un giorno di regno, quando cominciai a lavorare alla
partitura il direttore responsabile era il compianto Philip Gossett; lo
affiancava Roberta Montemorra Marvin come “associate general editor” ed entrambi
controllarono la prima stesura della partitura e mi diedero una miriade di
indicazioni e suggerimenti. In caso di dubbi o problemi c'è un comitato
scientifico nutrito, costituito da studiosi che hanno già al loro attivo
edizioni critiche di opere di uno o più compositori. Anche adesso, che
dell'edizione critica delle opere di Giuseppe Verdi sono direttore responsabile,
per la mia edizione di Un giorno di regno faccio comunque riferimento a Fabrizio
Della Seta, che ha revisionato tutta la partitura in vista della sua
pubblicazione. E c'è un redattore eccellente alla University of Chicago Press,
Marta Tonegutti, che rivede tutto anche per far sì che le norme editoriali siano
applicate uniformemente a tutto il progetto. Un'edizione critica è sempre un
lavoro di squadra - conclude il Prof. Izzo - non esistono solipsismi e ciascun
curatore è sempre non solo “controllato”, ma partecipe di quel lavoro”.
Dove si colloca, in tutto questo, la città che ha dato i natali al
Cigno?
“Nella struttura del Festival Verdi che abbiamo immaginato e
che è andata delineandosi in questi ultimi anni - ha detto Anna Maria
Meo, Direttore Generale del Teatro Regio di Parma - se il Teatro Regio
ospita gli allestimenti più legati alla tradizione e il Teatro Farnese è
deputato alla sperimentazione, Busseto col suo splendido teatro è il luogo dei
giovani e per i giovani. D'altra parte, proprio tra le mura di Casa Barezzi, a
due passi dal teatro che ospita le produzioni del Festival, un giovanissimo
Verdi muoveva i primi passi della sua gloriosa carriera. Ci è sembrato quindi
naturale affidare le opere in scena nella sua città natale a giovani artisti e
team creativi, offrendo loro la preziosa occasione di misurarsi con una platea
esigente e preparata, proveniente da tutto il mondo.
Altrettando naturale
ci è sembrato instaurare una stretta relazione con il Concorso Internazionale
Voci Verdiane Città di Busseto, di cui il Teatro Regio ha assunto la direzione
per il triennio 2017-2019: già dallo scorso anno, infatti, alcuni dei ruoli
dell'opera bussetana sono affidati ai partecipanti al Concorso, dando così
maggiore peso alla competizione che oltre ad assegnare premi in denaro offre
l'opportunità concreta di salire su un palcoscenico di grande prestigio.
Quello legato ai giovani è un tema imprescindibile per un festival
internazionale e per un teatro d'Opera in generale, tema su cui il Regio investe
molto - anche in termini di formazione, con l'Accademia Verdiana - e che non
manca di regalare grandi soddisfazioni: penso alla candidatura di Isabella Lee,
vincitrice del Concorso Voci Verdiane e Violetta nella Traviata del 2017, come
miglior giovane cantante agli International Opera Awards, e al grande successo
dell'allestimento firmato da Andrea Bernard, il cui progetto fu selezionato tra
oltre 70 all'International Opera-directing Prize, organizzato da Camerata Nuova
in collaborazione con Opera Europa.
Investire sui giovani è
dunque non solo un dovere - conclude il Direttore Meo -
ma anche una grande opportunità e ci piace considerare Busseto
un luogo privilegiato, una fucina in cui formare una nuova generazione di
interpreti verdiani che da qui possa dare il via a una carriera che ci auguriamo
lunga e prestigiosa”.
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