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Recensione opera La forza del destino di Giuseppe Verdi al Teatro Regio di Parma

William Fratti, 22/01/2019

In breve:
Parma, 18 gennaio 2019 - Recensione dell'opera lirica La forza del destino di Giuseppe Verdi, in scena al Teatro Regio di Parma.


Dopo tredici anni di assenza, La forza del destino di Giuseppe Verdi torna sul palcoscenico del Teatro Municipale di Piacenza in uno spettacolo firmato da Italo Nunziata.

L'allestimento piacevolmente minimalista, che si avvale delle scene di Emanuele Sinisi e dei dipinti di Hannu Palosuo, è particolarmente efficacie nel raccontare la vicenda privata dei protagonisti divisi da un destino avverso, ma il lavoro di regia, oltremodo convincente nei tableau corali - eccezion fatta per quei momenti in cui si sarebbe auspicato il doppio coro - è piuttosto scarno nei momenti tra i soli personaggi principali. Adeguati all'insieme i costumi di Simona Morresi e le luci di Fiammetta Baldiserri. Sono invece abbastanza latitanti le coreografie di Riccardo Buscarini, da cui ci si sarebbe aspettato molto di più.

La direzione di Francesco Ivan Ciampa non è straordinariamente prodiga di letture personali o accenti di stile, ma ha il pregio, come di suo consueto, di creare un buon amalgama tra buca e palcoscenico, lasciando spazio ai solisti e mantenendo il polso ben saldo per tutta la lunga durata del melodramma. Avrebbe sicuramente ottenuto risultati superiori se la sezione ottoni dell'Orchestra Regionale dell'Emilia-Romagna avesse suonato meglio.
Superlativa la prova del Coro del Teatro Municipale di Piacenza guidato da Corrado Casati, che in questa occasione supera se stesso in un tripudio di colori e sfumature davvero subimi.

Come già rilevato in diverse occasioni, Anna Pirozzi possiede una delle vocalità più importanti e interessanti del momento, sostenuta da uno strumento davvero consistente, ma nel ruolo di Leonora, sempre scoperto e in primo piano, pur mostrando dei centri meravigliosi, emergono altresì fin da subito tutte le magagne che spesso la contraddistinguono: certe stonacchiature, certi acutini striduli, certi pianissimi mal sostenuti sul fiato, certi legati poco sicuri e conseguente senso di poca omogeneità. Tutto ciò è un vero peccato, uno spreco di talento, poiché le basterebbe poco per sistemare queste problematiche per passare da una brillante carriera internazionale, che già possiede, a essere davvero - e non per marketing - una delle migliori interpreti del momento.

Luciano Ganci ha la vocalità e il timbro perfetti per il ruolo di Alvaro, con un bello smalto e una buona brillantezza, ma anche nel suo caso la natura non è sufficiente per una parte così ardua e le lacune tecniche lasciano troppo spazio a imprecisioni, frammentarietà e discontinuità.

Discorso diametralmente opposto per il Don Carlo di Kiril Manolov, che risolve testualmente tutto ciò che deve, ma è abbastanza povero di colori e sfumature, di fraseggi e di interpretazione.

Sorprende in maniera molto positiva il Padre Guardiano di Marko Mimica, che si trova molto a suo agio in questo cavernoso ruolo verdiano pur non essendo un basso profondo, risultando tanto credibile nelle intenzioni quanto piacevole nel suono.

Ottimo il Fra Melitone di Marco Filippo Romano, che si riconferma uno dei migliori baritoni buffi della sua generazione, dotato di savoir-faire, di fraseggi eloquenti e sostenuto da una tecnica ferrea.

Bravissima anche Judit Kutasi nella difficile parte di Preziosilla, in cui la cantante deve essere dotata di voce ampia nel volume, estesa ed elastica, oltre che sapientemente piegata all'interpretazione.

Concludono la rosa dei protagonisti il bravo Mattia Denti nel ruolo del marchese, Cinzia Chiarini nei panni di Curra, Marcello Nardis nelle vesta di Mastro Trabuco e Juliusz Loranzi in quelle di un alcade e un chirurgo.

 
 
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