La grande opera incompiuta di Modest Petrovič Musorgskij è
indubbiamente un capolavoro, un caposaldo dell'opera e della musica non solo
russa, ma di tutto il tardo Ottocento, con la sua modernità inconfutabile e così
intensamente intrisa di emozionante umanità. Seppur non frequentemente,
fortunatamente si tratta di un titolo regolarmente rappresentato al
Teatro alla Scala e in questa occasione lo spettacolo è affidato alla
mano esperta e alla fervida mente di Mario Martone che,
sapientemente assistito da Margherita Palli alle scene,
Ursula Patzak ai costumi, Pasquale Mari
alle luci, Daniela Schiavone alla coreografia
(intelligente oltreché interessante), con video di Italvideo
Service, trova la culla perfetta per il pessimismo di
ChovanÅ¡čina in un grigio futuro distopico.
È vero che l'umana vicenda si muove nel turbolento contesto storico della
lotta per la presa al potere da parte dello Zar Pietro il Grande, col movimento
scismatico dei vecchi credenti da un lato e gli oppositori a Pietro dall'altro,
ma i riferimenti all'interno del libretto sono così sottili per certi versi e
ampi sotto il profilo dell'interpretazione, che la trasposizione acquisisce un
suo senso compiuto. A parte ciò, Martone sa cosa significhi fare regia, far
muovere protagonisti, comprimari, comparse e masse, sa cosa significhi la
gestualità e gli sguardi, sa cosa significhi trasmettere un concetto, un
simbolo, piuttosto che un'immagine. Ne risulta uno spettacolo davvero
entusiasmante da ogni punto di vista.
Pure meravigliosa e appassionante è la direzione di Valery Gergiev
- che aveva guidato anche l'edizione del 1998 - sul podio di un
altrettanto eccezionale Orchestra del Teatro alla Scala. Le tre
ore abbondanti di musica (sublime) non sono solo scandite da estrema cura e
precisione, ma anche da colori e accenti di una vitalità davvero notevole.
Superlativo è il Coro del Teatro alla Scala che in questa occasione supera ogni
confine della perfezione.
Ekaterina Semenchuk, che non aveva convinto nel ruolo di
Eboli, è una Marfa eccellente, dotata di voce vellutata e omogenea,
arricchita di fraseggio e sfumature emozionanti e toccanti, soprattutto nella
profezia di secondo atto e nella canzone del terzo.
Mikhail Petrenko è un'ottimo Principe Chovanskij,
autorevole nell'interpretazione, solido e corposo nel canto, che trova il suo
apice in quarto atto.
Stanislav Trofimov è un altrettanto encomiabile Dosifej,
inamovibile nel suo credo, con la cavernosità della sua voce scura che scandisce
tutta l'opera fino ad arrivare alla commovente aria nel quadro conclusivo.
Ottimo il Å aklovityj di Alexey Markov, che per
tutta la vicenda muove subdolamente le fila dei boiari, prodigandosi in
un'interpretazione della sua aria davvero sentita.
Molto buona la prestazione dei due tenori, Sergey Skorokhodov
nei panni di Andrej e Evgeny Akimov nel ruolo di
Golicyn, entrambi imponenti nella vocalità e svettanti negli acuti.
Decisamente convincente la Susanna di Irina Vashchenko
anche se, per come è costruita la tessitura del ruolo, qualche acuto non risulta
propriamente pulito e si sarebbero preferite note gravi più consistenti.
Efficacissima Evgenia Muraveva nella parte di Emma
che presenta un canto pulito e omogeneo.
Bravissimo Maxim Paster nei panni dello Scrivano,
forse un poco tirato negli acuti, ma la resa del personaggio - impaurito e
trafelato - è talmente riuscita da far sembrare queste imprecisioni una cosa
voluta.
Perfettamente adeguati all'alto livello dei protagonisti sono anche le parti
comprimarie, con Maharram Huseynov (Pastore luterano),
Lasha Sesitashvili (Varsonof'ev), Sergei Ababkin (Kuz'ka
e Strešnev), Eugenio Di Lieto (primo strelec),
Giorgi Lomiseli (secondo strelec), Chuan Wang
(uomo di fiducia del principe Golicyn). Produzione da non perdere
assolutamente!
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