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Recensione opera lirica Luisa Miller di Giuseppe Verdi in scena a Parma

William Fratti, 20/10/2019

In breve:
Parma, 19 ottobre 2019 - Recensione dell'opera lirica Luisa Miller di Giuseppe Verdi in scena nella monumentale Chiesa di San Francesco del Prato al Festival Verdi 2019.


Rappresentata nella monumentale Chiesa di San Francesco del Prato, questa edizione di Luisa Miller è una vera e propria occasione persa.

Nelle note di direzione Roberto Abbado scrive: "con mia grande sorpresa l'acustica risulta molto migliore di quel che la struttura architettonica potrebbe far sospettare", ma purtroppo non è così. Presumibilmente il direttore non è stato informato che poco oltre le prime file di platea, dal costo di 250 euro alla première e 230 alle repliche, il suono inizia a diminuire, in alcuni casi a distorcersi, probabilmente con onde, frequenze o vibrazioni rifratte a tratti o solo parzialmente dalla struttura in metallo. Il secondo settore, dove un posto costa 150 e 130 euro, è quasi completamente cieco e sordo. Non volendo cambiare location, occorreva richiedere l'intervento dei migliori tecnici del suono, oltre agli architetti per sistemare il declivio e dare a tutti la possibilità di vedere e sentire, oppure rimborsare parzialmente i biglietti: la ridotta visibilità, l'acustica discutibile e una poltrona dura non giustificano il prezzo, neppure in presenza degli artisti più quotati.

Dalla tribuna posta in piano rialzato si è potuto assistere comodamente allo spettacolo, ma discorso diverso vale per l'ascolto poiché l'orchestra, il coro e le voci basse arrivavano in un miscuglio ottuso e ovattato che poco permetteva di comprenderne la qualità. Soprano e tenore arrivavano bene solo in alcune note. La sola a udirsi chiaramente era Martina Belli, una brava Federica caratterizzata da un bel colore, una linea di canto pulita, nonché una certa eleganza di stile.
In terzo atto, assistendo dalla prima fila di platea, sembrava tutta un'altra opera.

Roberto Abbado, alla guida dell'Orchestra del Teatro Comunale di Bologna - anche in questo caso, come in Aida, non priva di errori - conduce il finale tragico in un tripudio di cromatismi davvero emozionanti, rendendo chiaramente il senso di disperazione dei due protagonisti, contornato da un lato dalla speranza, dall'altro da un forte senso di morte. Nel trasmettere questi sentimenti attraverso i colori orchestrali il direttore milanese è eccezionale.

Francesca Dotto esegue un terzo atto tecnicamente da manuale, pur avendo bisogno di migliorare la proiezione sia negli acuti sia nei gravi, entrambi un poco coperti dalla musica. Per il resto la sua Luisa è puntuale nei virtuosismi, ha un bel timbro, è eloquente nel fraseggio e prodiga di accenti.

La affianca un altrettanto valoroso Amadi Lagha nei panni di un Rodolfo molto generoso, brillante in acuto, nonché veramente espressivo.
Molto buona anche la prova del Miller di Franco Vassallo nel commovente duetto “Andrem, raminghi e poveri”.

Piuttosto efficace la Laura di Veta Pilipenko.

Purtroppo non è possibile parlare della prova di Riccardo Zanellato nel ruolo di Walter, né di Gabriele Sagona in quello di Wurm, non avendo cantato in terzo atto. Lo stesso vale per il contadino di Federico Veltri e il Coro del Teatro Comunale di Bologna, seppur da considerarsi positivo in “Come in un giorno solo”.

Lo spettacolo di Lev Dodin - che vede tutta la vicenda come una sorta di liturgia, oltre a far avvelenare tutti i personaggi tranne Federica nel finale - è estremamente povero e noioso. Il coro alla greca, incappucciato, non fa altro che entrare, uscire, sedersi e alzarsi. Amici, parenti e cortigiani non esistono. I numerosi mimi, abbigliati come arcieri o falconieri, non fanno altro che spostare tavole e cavallotti. I protagonisti camminano lungo il coro, ruotano su se stessi come carillon, salgono in piedi sui tavoli: azione scenica di cattivissimo gusto. Nulla di più.

Aleksandr Borovskij firma delle scene che ben si amalgamano con le impalcature e dei costumi piuttosto ordinari ma efficaci.

Nonostante tutto le luci di Damir Ismagilov sono strabilianti, estremamente suggestive, descrittive dei protagonisti e dei loro sentimenti, ma soprattutto sono l'unico vero elemento che riesce in qualche modo, illuminando anche le campate laterali, ad unire il pubblico al palcoscenico.

Sarebbe forse stato meglio annunciare il mancato completamento del restauro della Chiesa di San Francesco del Prato ed effettuare le recite in forma di concerto all'Auditorium Paganini?

Meglio accontentare gli amanti del luogo storico, oppure meglio scontentare chi ha pagato e non ha visto e sentito?

 
 
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