Vita da cantante lirico - Intervista al baritono Gabriele Nani
Redazione Liricamente, 01/07/2021
In breve: Quando vai al teatro dell'opera, immagini che chi sta sopra il palco faccia una vita effettivamente da sogno, ma la professione del cantante lirico sicuramente è certamente molto bella, perché trasforma la passione in lavoro, e cosa c'è di meglio che fare un lavoro appassionante, però un proverbio dice che “non è tutto oro ciò che luccica”. Il mondo dell'opera viveva già una sorta di declino pre-covid, ma certamente dal febbraio del 2020 tutto è un po' precipitato.
Con i teatri chiusi molti cantanti hanno dovuto affrontare anche difficoltà davvero incredibili, però, i cantanti, si sa, sono artisti e agli artisti non manca la fantasia!
Quindi abbiamo deciso di raccontarvi un po' queste loro storie.
Il primo ospite a cui chiediamo di raccontare la propria storia è un baritono, si chiama Gabriele Nani.
Con questa prima intervista, intendiamo inaugurare una rubrica in cui
racconteremo come vivono i cantanti lirici dal febbraio del 2020.
Quando vai al teatro dell'opera, immagini che chi sta sopra il palco faccia
una vita effettivamente da sogno, ma la professione del cantante lirico
sicuramente è certamente molto bella, perché trasforma la passione in lavoro, e
cosa c'è di meglio che fare un lavoro appassionante, però un proverbio dice che
“non è tutto oro ciò che luccica”. Il mondo dell'opera viveva
già una sorta di declino pre-covid, ma certamente dal febbraio del 2020 tutto è
un po' precipitato. Con i teatri chiusi molti cantanti hanno dovuto
affrontare anche difficoltà davvero incredibili, però, i cantanti sono
artisti e agli artisti non manca la fantasia! Quindi abbiamo deciso di
raccontarvi un po' queste loro storie. Il primo ospite a cui chiediamo di
raccontare la propria storia è un baritono, si chiama Gabriele Nani.
Gabriele, facci un breve riassunto della tua carriera: noi ci siamo
conosciuti qualche anno fa quando, agli esordi , al Teatro Rosetum di Milano, e
tu da lì, più o meno, era iniziata, così, la tua attività, la tua
professione di cantante. Adesso raccontaci un po' cosa hai fatto in questi
quasi vent'anni. Ormai si, tra poco ci siamo al giubileo dei
vent'anni, sì ho una carriera veramente piena di soddisfazioni e direi molto
anomala perché comunque sono partito da questo piccolo teatro Rosetum che
conosci anche tu, sono stato scoperto da, allora c'era questo musicologo, che è
anche un caro amico oggi Daniele Rubboli che mi ha scoperto con un'audizione e
da lì ho fatto questi primi e prime piccole cose e poi ho iniziato una carriera
vera e propria nei teatri prima in Italia e poi mi sono spostato più
all'estero, ma non per per mio desiderio, ma proprio perché così il destino mi
ha portato a svolgere gran parte delle cose più belle che ho fatto non nella mia
patria, che però rimane sempre, a cui sono sempre veramente legatissimo.
A un certo punto della mia carriera sono finito alla Rai, ho cantato
l'aria del Barbiere di Siviglia, quello è stato un po' il lancio ufficiale da
dove poi ho iniziato veramente ad essere conosciuto così da un pubblico diverso
da quello che è quello delle sale dei teatri. Insomma, quindi devo
molto e devo moltissimo a questo evento che mi ha portato fino ad e oggi sono
felice di esserci arrivato con le mie gambe. E' stato un percorso bello, devo
dire, di grandi soddisfazioni che hanno compensato i grandi sforzi che ho fatto
per arrivare fino a qui, perché chiaramente è una strada, è stata una strada
tortuosa, soprattutto all'inizio.
Io dico sempre che sono partito con il piede sbagliato, però poi quando mi
sono messo a correre, sono stato veloce in gran carica e sono arrivato fino a
qua.
Sono felice, insomma, ecco perché, come hai detto tu, questa professione è la
più bella del mondo per chi la esercita come me perché dietro la professione ci
sono anche dei sentimenti, a differenza di altri lavori, che uno fa perché
magari, non lo so, c'è dietro un riscontro economico pazzesco oppure è una
professione che ha imparato, gli viene bene.
Insomma, fare l'artista significa veramente mettere sul piatto dei sentimenti
e molte volte questa professione noi la esercitiamo quasi esclusivamente per
quello e, anche se non va bene, come posso dire ci “declassiamo” tra virgolette,
ma restiamo sempre in corsa, non abbandoniamo mai proprio perché c'è qualcosa
dentro di noi proprio nel DNA che ci porta a continuare a sfidarci, a sfidare
anche le insidie che ci sono, che ci troviamo davanti a sfidare anche quelle che
sono magari le critiche, oppure quelli che sono i piccoli incidenti, che
inevitabilmente accadono oppure degli incontri magari non azzeccati. Tutte queste difficoltà noi le superiamo, andiamo avanti spesso e volentieri
proprio per l'affezione, per il sentimento che abbiamo nei confronti della
professione che abbiamo scelto, che come hai detto tu all'inizio
abbiamo fatto della nostra passione il nostro lavoro.
Il nostro obiettivo è far conoscere anche le difficoltà che
stanno affrontando in questo periodo i cantanti, chi appunto svolge la
professione del cantante lirico come te, quindi vorrei chiederti come era la
vita pre-covid, indicativamente quante recite facevi all'anno in Italia e
all'estero. Ecco, allora la nostra professione, la mia, insomma
parlo anche un po' al plurale perché li conosco un po' tutti quelli come me che
fanno che fanno questa professione, cioè il solista, l'artista, il solista:
proprio nella parola è compresa proprio la solitudine, cioè noi veramente siamo
persone sole che facciamo veramente una professione e sfidiamo veramente tante,
tante, tante difficoltà che a volte non si vedono, anzi si vede soltanto
l'aspetto quello positivo, cioè quello del veramente del solista top che è
veramente va alla grande, ma spesso noi dietro questo ci sono ci sono tante
tante difficoltà, che noi affrontiamo comunque.
La nostra vita pre-covid era già una carriera piuttosto complicata,
stiamo vivendo, stavamo vivendo già degli anni piuttosto difficili
rispetto ai nostri predecessori: si parla dell'età dell'oro della
lirica gli anni ottanta e gli anni novanta, insomma poi da lì è iniziato
veramente un pochettino una discesa che negli ultimi anni è precipitata
piuttosto consistentemente, ma comunque, insomma, la vita gli anni pre-covid
erano per me anni in cui lavoravo molto, posso dire che a livello di spettacoli
ne facevo tanti.
Ho avuto degli anni in cui veramente sfioravo le 60 recite crescite, concerti
in un anno, che sono tantissime, ma questo non perché io fossi veramente
ricercato in tutto il mondo, ma proprio perché le difficoltà, degli ultimi anni,
economiche nei teatri ci portavano a cercare veramente di lavorare molto di più
per compensare quello che i profitti economici venivano un po' meno gli
ultimi anni. Erano veramente già complicati, penso che non sia una novità quella
che dico, insomma, perché un po' tutti ci siamo caduti in questi incidenti, in
queste trappole della realtà che dei teatri italiani e anche esteri che
incominciavano, così, economicamente a offrire condizioni sempre meno
vantaggiose e poi addirittura anche a come dire prendersi dei tempi non definiti
per pagarci, quindi c'era già questo grandissimo problema di molti
teatri in cui si si lavorava e si veniva pagati dopo periodi indefiniti,
parliamo di molti mesi, a volte anche anni, e veniva meno anche il fatto di un
contratto scritto, cioè la carta non canta più, non cantava più nel senso che
gli accordi messi prescritte firmati non venivano rispettati e comunque si
andava sempre avanti.
La pandemia ha bloccato dalla sera alla mattina tutto questo perché
il nostro mondo si è fermato al cento per cento e questa è una cosa che nessuno
si sarebbe mai aspettato. Ci siamo veramente fermati completamente,
non era, non è stato più possibile lavorare, né far niente, insomma soltanto
aspettare.
Scusa se ti interrompo, c'è stato proprio un vero e proprio
blocco, il lock down: da qui il lock down ci ha messo in una situazione
difficile un po' decisamente per tutti, però quello è stato un periodo in cui, ,
eravamo tutti fermi. In realtà poi è arrivata l'estate, abbiamo visto prima
qualche foto in cui tu stavi cantando con la mascherina.
Esattamente, sono riuscito a fare una produzione proprio nell'estate scorsa. Mi
ricordo il Barbiere di Siviglia a Novara, si, così, con la mascherina, eccola
qua. Si, è vero, è proprio questa e sì anche lì era veramente una cosa
stranissima perché quello è stato proprio il ritrovarsi con dei colleghi dopo il
primo lock down tremendo. Ritrovarsi in un teatro tutti insieme. Dire ok,
dobbiamo fare Il barbiere di Siviglia con le restrizioni che ci sono in corso.
Adesso, allora, possiamo stare un metro un metro e mezzo dobbiamo usare la
mascherina si, no, forse perché comunque l'estate, è stata… l'estate scorsa è
stata veramente un pochettino strana.
Perché a un certo punto mi ricordo che da una certa data forse il 15 di
giugno non ricordo bene, comunque, il governo ci ha permesso di tornare a una
pseudo vita normale e anche ha permesso agli artisti, agli spettacoli di tornare
a esistere, in luoghi all'aperto e quindi ho fatto questa produzione dove
veramente mi sono ritrovato con i colleghi, ma ricordo anche, dopo i primi
giorni di prova, dove mi era preso anche un pochettino di panico, devo dire la
verità, perché improvvisamente dopo tutto quello che era successo, dopo il primo
lock down, dopo veramente le cose tremende che abbiamo vissuto e visto tutti
alla televisione e in prima persona, ritrovarsi così senza più restrizioni, si
fa, sì, faceva un po' strano, insomma, avevo ho avuto un attimo di panico. Mi
stavo interrogando, mi stavo dicendo, ma stiamo rischiando forse troppo, non lo
so, però c'era anche la voglia di tornare a fare il nostro lavoro, di tornare a
cantare, poi sai, il contatto anche con le altre persone e il fatto di noi che
facciamo una professione che forse è la peggiore per quanto riguarda il covid,
perchè siamo cantanti e ci sputiamo addosso, inevitabilmente quando cantiamo, di
conseguenza siamo veramente a livello di restrizioni, di pericolo altissimo.
Ma comunque, questa produzione è stata veramente particolare perché c'erano
veramente tanti sentimenti nuovi, strani, che entravano in gioco anche con i
colleghi, perché non è venuto solo a me il panico, è venuto anche ai miei
colleghi. Poi, a un certo punto, l'abbiamo superato e abbiamo fatto questa
produzione.
Ecco, scusa se ti interrompo, perché appunto ho scelto di
intervistare te per primo perché mi hai detto, quando ci siamo sentiti qualche
giorno fa, sai Gloria, io nel 2019 mi sono trasferito ad Alzano Lombardo, quindi
ho scelto di partire da te perché comunque hai vissuto e hai conosciuto
estremamente da vicino un dramma grandissimo, proprio, e quindi volevo proprio
capire da te come hai vissuto questa situazione, come sei riuscito, nonostante
ciò che c'era intorno a te, ad avere il coraggio, ecco, proprio, di tornare a
calcare un palcoscenico, appunto, con tutte le problematiche che comporta
questa professione perché in cui il contatto fisico è inevitabile, soprattutto
se devi fare determinate scene: non è che puoi stare a un metro di distanza a
tagliare la barba se sei il barbiere di Siviglia, oppure nel duetto d'amore dei
Pagliacci non credo che tu possa stare troppo lontano: la finzione scenica
decade, , nel momento in cui non ci sono determinati requisiti, per cui appunto
volevo partire da te proprio per chiederti anche come è stato ripartire e poi,
ti anticipo già la prossima domanda, che è quella come è stato poi, al di là
dell'estate, in cui in un certo senso qualche produzione è stata possibile, ma
poi c'è stata la richiusura dei teatri e con le produzioni “facciamo l'opera” in
streaming in alcuni teatri, quelli che economicamente se lo sono potuti
permettere, hanno realizzato queste produzioni delle opere in streaming.
Volevo chiedere a te com'è stato partecipare a questa esperienza perché so che
tu almeno una l'hai fatta. Esatto, volevo chiederti com'è stato cantare in
teatro, senza pubblico, con l'orchestra posizionata al posto magari del
pubblico. Esatto, sono sincero, tu hai rivelato questa cosa,
sì è vero, io mi ero trasferito da poco in questo piccolissimo paese, che poi è
diventato famoso nel mondo, che è Alzano Lombardo, famoso purtroppo per quello
che ha vissuto. Veramente dei mesi tremendi, perché ho visto con i miei occhi la
sofferenza e la morte di tante persone. Proprio io ho un affaccio sul retro
dell'ospedale, di conseguenza ho visto veramente cose tremende. Ho avuto la
fortuna di salvarmi, nel senso che non ho non ho contratto il covid, e sono
riuscito a salvare anche le mie persone più care, che sono i miei genitori
e che, insomma, ricordo a un certo punto nel nostro palazzo eravamo l'unico
nucleo familiare non contagiato, per cui è stato veramente tremendo. Tremendo,
però, non voglio parlare di questo, voglio parlare di quello che è successo dopo
e del futuro, tornando, al secondo lock down, ecco anche quello veramente
non so come definirlo, se inaspettato, oppure sapevamo che ci saremmo finiti e
poi ci siamo finiti veramente.
Lì i teatri si sono reinventati perché a un certo punto non si capiva
più che cosa il Governo imponeva perché insomma i decreti parlavano di
teatri chiusi, in realtà poi la sfaccettatura dell'essere chiusi per il
pubblico, ma dentro aperti, cioè nel senso che le masse lavorative dentro i
teatri hanno cominciato a produrre, ovviamente, per non rimanere come nel primo
look così senza poter fare niente. Si è riusciti a fare questo, si sono
inventati questi progetti di utilizzare i teatri come luoghi anche di
scenografia perché si è visto tantissimo il fatto di vedere queste platee vuote,
senza poltrone, dove al posto della platea c'era l'orchestra distanziata oppure
abbiamo visto opere svolgersi all'interno dei palchi con il coro dislocato,
tutto quello che sicuramente tutti hanno hanno visto o ho fatto parte anch'io in
due di questi progetti e le mie impressioni sono state di grande tristezza devo
dire perché fare queste cose con il teatro vuoto chiuso, senza pubblico, è a mio
avviso, cioè quello che io sentivo era che venisse a mancare proprio il
senso di fare il teatro perché quanti teatri si chiamano “teatro sociale”,
tantissimi! E in questa parola è ben descritto il senso del teatro, cioè essere,
creare la socialità, cioè unire persone e creare proprio all'interno del teatro
quello che è quello che è la società.Insomma, il pubblico, senza
questo manca il senso e quindi veramente è stato tristissimo fare questi
progetti, ma ricordo delle parole importanti che disse il regista di questa
produzione che ho fatto a Treviso in streaming di Rigoletto e il regista prima
di registrare questo spettacolo ci ha chiamato tutti gli artisti in scena e
disse il proprio questo, disse: “Questo spettacolo fatto così è veramente
qualcosa di incredibile, di molto anomalo, ma pensiamo di fare veramente un
documento per il futuro: noi stiamo registrando qualcosa che tra 20 anni
guarderemo e servirà a qualcuno per ricordare che cosa veramente è successo e
che cosa abbiamo vissuto e che cosa abbiamo dovuto fare per sopravvivere, e
quindi affrontiamo questa cosa con questo pensiero.” Mi ha dato veramente
quel senso che mi mancava.
Non hai mai pensato, nonostante questi mesi così di
inattività, di dire “cambio mestiere” perché comunque se perdura la pandemia non
ci stiamo più dentro? Ti è venuto questo pensiero? Certo che mi
è venuto, però, per cambiare mestiere dovrei cambiare il DNAe
questo penso che non sia possibile. E' chiaro che un po' tutti noi ci
siamo dovuti attrezzare, reinventare, perché a parte i sentimenti poi c'è anche
il portafoglio che in un certo momento quando rimane vuoto sentimenti o non
sentimenti bisogna fare qualcosa. Tanti di noi, tanti miei colleghi,
anche veramente che lavoravano tantissimo si sono ritrovati in poco tempo a
terra perché la nostra professione, come dicevo all'inizio, sembra così
prospera, ma in realtà basta poco per finire, per terminare i nostri margini,
perché non so, forse lo spiego in breve come funziona il nostro lavoro: noi per
lavorare abbiamo bisogno di potercelo permettere. Cosa significa? Questo
significa che un solista per andare a fare una produzione deve avere, oltre al
denaro che serve a condurre la propria famiglia, chi ha un figlio, due,
insomma oltre al denaro necessario che sappiamo benissimo essere tanto, perché
non sembra ma comunque condurre una famiglia comporta veramente delle spese
pazzesche, oltre a questo, un solista deve avere un fondo economico da
poter investire per poter lavorare. Cosa vuol dire questo? Vuol dire che noi
quando partiamo per fare una produzione siamo costretti un mese, un mese e
mezzo, due mesi, andiamo ad abitare nella città in cui lavoriamo, affittiamo una
casa, viviamo in questa città, mangiamo, viviamo, ecco e facciamo le prove,
facciamo le recite, torniamo a casa e aspettiamo che ci venga pagato il nostro
compenso, quindi tutto quello che è il lavorare è completamente a nostro carico,
a nostre spese e di conseguenza, se noi non abbiamo un fondo personale per poter
permetterci di lavorare, come ho detto prima, può succedere anche il fatto che
un cantante arriva ad avere delle proposte di lavoro e di non poterle accettare
perché non ha un margine per poter permettersi di andare a fare queste cose.
Questa cosa è tristissima, ma veramente è una cosa che succede e con
questa pandemia addirittura è successo veramente, anche a persone impensabili, e
di conseguenza oltre al danno del fatto di non poter lavorare, ha il danno anche
di non poter programmare, di non avere niente in futuro di programmato, perché i
teatri non sapevano più come programmare e non sapevano se e quando fare.
E' finito anche per molti di noi questo fondo e quindi il
fatto di ripartire non è come le altre professioni che ad un certo punto dal
chiuso si riapre, si riparte, si ritorna ad andare in ufficio, si ritorna a fare
quello che si faceva prima. Per noi artisti, il fatto di ripartire significa che
se oggi ci ripermettono di lavorare, significa che da oggi noi incominciamo di
nuovo a programmare, a cercare il lavoro che arriverà in futuro, perché la
nostra programmazione, a meno che veramente non capiti una sostituzione o
veramente un progetto montato in quattro e quattr'otto, che veramente poi è
difficile succeda, ma ci vuole ci vuole tempo per riprogrammare, per ripartire e
ci vuole, come ho detto prima anche la possibilità economica di poter fare
questo lavoro. Per questo il Covid ha veramente fatto un gran danno, anche sotto
questo punto di vista.
Non per niente, ti ho messo la foto è di Bohème
Ecco, qui poi faccio Schaunard che è quello che va proprio a insegnare musica
dal vecchio, a guadagnare quattro lire che poi le porta agli amici e se ne vanno
a sperperarle al caffè Momus. Sì ecco, proprio è quello lì, quel personaggio
è veramente emblematico in quello che ho detto perché proprio rappresenta e richiama proprio un po' la condizione che talvolta purtroppo è vero capita per
chi fa questa professione.
Vediamo il lato positivo della medaglia. In un certo senso,
questa pandemia ci ha messo di fronte a delle riflessioni importanti ed è questo
il punto a cui voglio arrivare insieme a te, cioè questa professione è una
professione che sicuramente porta la nostra cultura, i nostri valori, perché
comunque leggevo anche proprio un'intervista che è uscita ieri sul Corriere del
maestro Muti e diceva che c'è una decadenza culturale: lui nota questa
decadenza, perché effettivamente la nostra cultura pur essendo una cultura
universalmente riconosciuta perché è innegabile il fatto che quando ci sia un
evento anche a livello mondiale di interesse mondiale l'opera lirica italiana
viene sempre coinvolta è un esempio, per esempio, ho visto i bellissimi fuochi
d'artificio delle olimpiadi di Tokyo e la colonna sonora di questo spettacolo
pirotecnico era l'ouverture del Guglielmo Tell di Rossini. Ho guardato
l'inaugurazione degli Europei di calcio e Bocelli ha cantato “Nessun dorma” col
finale appunto della Turandot, allora mi dico: “ma perché se ogni volta che si
parla di qualcosa di bello, di spettacolare e soprattutto riconosciuto a livello
mondiale, si mostra l'opera e invece noi la tuteliamo così poco?” Forse
questa pandemia ci ha fatto anche capire che anche per la professione dei
cantanti, degli artisti, non solo dei cantanti, ma insomma di tutto di tutto il
mondo che ruota intorno al teatro, il teatro d'opera, ma anche il teatro
sicuramente di prosa, che di cui noi italiani abbiamo veramente un patrimonio
incredibile, probabilmente è il momento di fare qualcosa. Non siamo, non
dobbiamo, più essere tutti solo individui, cantanti solisti, ad affrontare anche
così la professione, ma forse è il momento di cominciare a tutelarsi, avere
qualche tutela in più e capire che non si può essere sempre solo solisti,
dobbiamo iniziare a ragionare un attimino un po' più come se la nostra
professione sia da tutelate. Come tante altre professioni è giusto che venga
tutelata anche questa. Se alla fin fine gli avvocati sono così liberi
professionisti, comunque hanno un albo in cui sono tutelati da determinate
regole. Probabilmente anche gli artisti dovrebbero coalizzarsi e, anche se sono
liberi professionisti, in un certo senso dovrebbero avere la mente più aperta e
non farsi la guerra l'un l'altro, ma cercare il modo di organizzarsi, creare
questi albi a tutela, così, della propria professione. Tu cosa ne
pensi? Mah… hai pienamente ragione, sono pienamente d'accordo,
in più aggiungo, però che veramente forse questa pandemia ha fatto capire
qualcosa a qualcuno, parlo del Governo. Forse ha fatto capire
veramente che c'erano delle professioni che erano quasi considerate, non
considerate, oppure inesistenti o non meglio definite, come la nostra,
perché anche negli aiuti che ci ha dato il Governo, i parametri che
aveva messo inizialmente per dare dei fondi, giustamente a noi, perché
eravamo impossibilitati a lavorare, ricordo le contraddizioni e le correzioni
che aveva fatto il Governo. Ricordo che inizialmente era uscito un decreto in
cui si davano fondi fondi a tutti gli artisti che avevano, nel 2019, 30 giornate
lavorative con i contributi versati all'Inps. 30 giornate per un solista
significa aver fatto 30 recite, perché forse non si avevano ben chiaro, che un
altro degli aspetti negativi della nostra professione del solista è quello che
spesso e volentieri quando lavoriamo nelle produzioni dove rimaniamo 3-4
settimane a far prove, ci vengono pagati esclusivamente i contributi per la
quella che poi sarà la nostra pensione, nei giorni delle recite e riuscire a
fare 30 giornate contributive, in questa maniera qua, significa che un cantante
è il top di gamma, cioè perché 30 recite in un anno sono tantissime, e da questo
si capisce proprio come noi eravamo considerati, cioè veramente la nostra
posizione non era veramente chiara. Infatti, poco dopo, si sono resi conto che
con questo parametro avrebbero lasciato fuori l'ottanta per cento degli artisti
e quindi si sono corretti e nel secondo decreto hanno abbassato a 7, quindi da
30 a 7 e già questo ci fa capire proprio come noi non eravamo fino a quel
momento considerati, non sapevano neanche come stavamo i nostri rapporti di
lavoro, e com'era strutturato.
E quindi questo, probabilmente, la pandemia ha fatto scoprire tanti
aspetti nostri che erano e che sono ancora da rivedere, perché non va bene com'è
strutturato il nostro lavoro, non va bene. Ma certo, se voi di
fatto lavorate un mese ma se la produzione comporta tre recite, hai fatto trenta
giorni di prove per fare 3 recite e alla fine non è corretto che vengano pagati
solo tre giorni di contibuti. Ecco questo va ricorretto alla fine e, a un
certo punto, siccome anche con le sette giornate c'erano artisti esclusi perché
chi lavorava all'estero, chi ha lavorato all'estero come il sottoscritto, non ha
versato le giornate in Italia, ma questo non significa che non ho lavorato, e
quindi tutti quelli che come me rimanevano fuori, cioè rimanevano per il Governo
persone che non hanno lavorato certa quindi cioè non è che se uno per loro ma
magari già due giornate di contributi pagati del 2019 mitica questa lavorato due
giorni che gli diamo i fondi come a quello che hanno lavorato 30 terrore
l'errore di gravissimo perché è quindi proprio questo secondo me di positivo c'è
che la pandemia ha fatto luce, ha riportato un po' in luce cosa che noi eravamo
veramente sommersi da una coltre di polvere da veramente tanti, tanti, tanti
anni. Un'altra cosa che hai detto tu dobbiamo veramente un po' smettere di
pensare di essere solo solisti, ma coalizzarci e cercare di fare la voce un po'
più grossa mettendo insieme tante voci, ecco questo è vero, però veramente
questa pandemia ha messo a dura prova proprio tutto questo sistema perché si
sono scoperte tante cose e questo io lo voglio vedere come un qualcosa di
positivo. Adesso che si si riparte che stiamo ripartendo, mi auguro veramente
che sia una ripartenza vera non senza ulteriore, senza ulteriori intoppi…
speriamo.
Vorrei vedere qualcosa di diverso vorrei vedere qualcosa
cambiare, devo dirti la verità che lo spero, lo spero tanto o sinceramente
qualche dubbio perché, sai, poi passata la festa è passato il santo... insomma
si dice così. Spero veramente che non sia, non ritorni tutto come prima. E'
chiaro che adesso siamo in questo presente sempre in una situazione molto
difficile. La ripartenza nel nostro settore non sta funzionando come
dovrebbe perché invece di ripartire con dei canoni nuovi si riparte ancora come
prima peggiorati, cioè sento già anche parecchi colleghi che hanno ricevuto, e
anche io stesso, proposte di lavoro assolutamente indecenti. Indecenti significa
che sono proposte di lavoro in cui sappiamo già che non so... lavoriamo per la
gloria,è la gloria di cantare e basta perché veramente arrivano
richieste di sconti, ma che sconti... nel senso che sono proposte economiche
piuttosto inaccettabili, come ti dicevo, noi abbiamo già subito e lo svuotamento
del nostro bottino per poter lavorare, quindi per poter ripartire bisogna
veramente che ci siano delle condizioni "normali", non dico straordinarie, ma
"normali". Se si riesce almeno a garantire questo se sei teatri riescono almeno
a garantire delle condizioni "normali", allora riusciremo a ritornare altrimenti
veramente perdiamo tanti pezzi, cioè l'Italia perde tanti perderà tanti artisti
perché non riusciranno più a rimanere a galla, ecco. Questo è... speriamo almeno
che all'estero ci valorizzino. Questo non lo so, adesso per tornare all'estero è
ancora più difficile, sarà un ulteriore step a cui andremo incontro, per adesso
è molto complicato ancora. Però io spero veramente che succeda qualcosa, che ci
sia un minimo di cambiamento.
Speriamo dai, noi ce lo
auguriamo tutti. Ci auguriamo che ci sia la volontà di cambiare da parte di
tante istituzioni perché è quella che serve la volontà di cambiare perché
altrimenti si va sempre incontro a una ulteriore decadenza e questo è veramente
un peccato. Sai perché? Perché alla fine... se le istituzioni ci provano a
proporre, a fare delle proposte indecenti ci sarà qualcuno che rifiuta, ma poi
ci sarà purtroppo qualcuno che accetta, perché accetta perché ne ha bisogno,
perché ha il sentimento, come ho detto prima, che lo porta a dire ma non mi
faccio prestare dei soldi dai miei amici ma voglio andare a fare quella roba
perché voglio cantare. Ci sarà sempre qualcuno che accetta e in quel momento lì
arriva la decadenza cioè vuol dire che chi ha fatto quella proposta indecente ha
avuto ragione perché ha trovato qualcuno che lo fa.
E questo è un
disastro, un disastro veramente senza fine e quindi non è che ce la dobbiamo
prendere con la persona che ha accettato, perché ha fatto casino e ha distrutto
il mercato, no. Quella persona avrà avuto le sue ragioni e chi lo sa perché lo
ha fatto. Lo ha fatto perché così se lo si sentiva di dover, lo fa non è colpa
sua, come dicevo prima, è la volontà di cambiare delle istituzioni che deve
esserci, altrimenti non ne veniamo fuori altrimenti il post pandemia sarà
un'ulteriore decadenza e questo io veramente mi auguro ma proprio col cuore che
nel mio settore di non vedere di non vivere di non dover vivere questo ma di ma
di vivere qualcosa di un pochettino diverso come ti ripeto già se fosse
"normale" sarebbe un regalo, un regalo che che le istituzioni ci fanno.
Certamente Gabriele, ce lo auguriamo anche noi, ma in realtà io
auspico una normalità che sia migliore rispetto a quella ci ha abbandonato
pre-pandemia appunto che ci sia anche il coraggio da parte dei dei cantanti di
prendere coscienza di questa esigenza di non essere più solo dei solisti appunto
di essere dei professionisti professioni professionista deve imparare anche a a
tutelarsi a mettere da parte un po' magari a volte il proprio ego che comunque è
insito nell'artista questo, per carità, però è proprio per il proprio bene anche
perché comunque dobbiamo dobbiamo fare qualcosa. Se non lo facciamo noi
per primi è difficile che ci pensino gli altri, anche perchè a livello
istituzionale, appunto, non c'è una grande rappresentazione, quindi è necessario
proprio da parte dei cantanti prendere coscienza e impegnarsi verso la
diffusione anche della cultura dell'opera lirica per avere un pubblico perché se
non abbiamo un pubblico difficilmente si viene anche considerati, perché
purtroppo come effettivamente ho letto, e lo condivido su molti aspetti, c'è un
certo decadimento culturale e un abbassamento proprio del livello
culturale a partire dalle istituzioni ma anche chi si forma oggi studia poco
rispetto al passato, effettivamente, forse persi da mille altre cose, ma c'è
meno così una formazione meno approfondita, quindi noi ci auguriamo di
poter invece avere una ripartenza che sia anche un po' una rinascita, ecco, dopo
il decadimento, di norma, c'è il rinascimento.
Si, perché comunque il potenziale del nostro Paese, il potenziale artistico
che è probabilmente il potenziale più più importante del mondo o tra i
potenziali importanti del mondo, la cultura in Italia non deve essere un museo
non deve essere qualcosa che ci invidiano all'estero, non deve essere quello che
utilizzano in tutte le più grandi manifestazioni perché la cosa una delle cose
più belle che esiste la lirica come hai fatto tu gli esempi a Tokyo, eccetera,
lo mettono questo fanno l'altro. Il nostro patrimonio lo dobbiamo valorizzare
nel nostro Paese. Valorizzare significa che noi dobbiamo essere, che l'Italia
deve essere la patria di questo tesoro dove però questo tesoro in questa patria
viene valorizzato e si svolge in maniera invidiabile all'estero, non il
contrario, non il contrario. Io ho veramente o con grande rammarico ho visto
delle stagioni in teatri esteri con titoli italiani interessantissimi che qui in
Italia non si fanno più e mi chiedevo, ma porca miseria volevo andarmi a vedere
quest'opera, ho in testa di vederla da anni e la fanno in Polonia e qua da noi
non c'è. Com'è possibile? Ecco, queste cose mi rattristano, mi rattristano
perché veramente non funziona così, non funziona che non si possono fare in
Italia, cioè qui in questa patria non è possibile che funzionino sempre le
stesse cose e che si facciano sempre le stesse cose perché funzionano. Certo,
bisogna avere anche il coraggio. Bisogna avere il coraggio, bisogna avere il
coraggio di osare, ecco.
Va bene Gabriele, ti ringrazio tantissimo per questa
chiacchierata questo confronto. Ma grazie a te!
Grazie mille per la collaborazione e vi diamo appuntamento alla
prossima intervista.
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