Intervista al basso Giampaolo Vessella - Direttore di coro
Redazione Liricamente, 22/12/2021
In breve: Vi riproponiamo una nuova intervista della rubrica “Vite da cantante al tempo dei Covid” e continuiamo a raccontarvi come vivono i cantanti lirici, ma non solo, dal febbraio del 2020, cioè dal primo lockdown causato dalla pandemia da Covid19.
Ho detto non solo cantanti lirici perché l'ospite di oggi è il basso Giampaolo Vessella che, però, da alcuni anni veste anche i panni di direttore del coro, infatti, per esempio dal gennaio del 2021 è il Maestro Titular, cioè ovvero il direttore del coro del Teatro Sao Carlo di Lisbona.
Vi riproponiamo
una nuova intervista della rubrica “Vite
da cantante al tempo dei Covid” e continuiamo a raccontarvi come vivono i
cantanti lirici, ma non solo, dal febbraio del 2020, cioè dal primo lockdown
causato dalla pandemia da Covid19.
Ho detto non solo cantanti lirici perché l'ospite di oggi è
il basso Giampaolo Vessella che,
però, da alcuni anni veste anche i panni di direttore del coro, infatti, per
esempio dal gennaio del 2021 è il Maestro Titular, cioè ovvero il direttore del
coro del Teatro Sao Carlo di Lisbona.
Lo ringraziamo per aver accolto il nostro invito perché
sicuramente saprà darci una prospettiva di come si vive la pandemia anche
all'estero, non solo a Lisbona, ma anche dalla Turchia perché nel 2020 era ad
Ankara, Maestro del Coro del Teatro di Ankara.
Prima, però, di entrare nel vivo di quella che è la sua
esperienza di questi due anni di pandemia, gli chiediamo di
parlarcidegli esordi da cantante lirico e della
carriera fino ad oggi.
Ho esordito come musicista, ho studiato da ragazzino
trombone a tiro e la considero un'esperienza fondamentale perché ho avuto la
fortuna da giovanissimo di suonare in importanti orchestre e facevo anche del
jazz e ritengo che veramente quella formazione, la disciplina dell'intonazione
che richiede uno strumento come il trombone da tiro, sia stata fondamentale per
tutta la mia evoluzione.
Dopo mi sono dedicato, sempre nel conservatorio di Milano,
a studi di composizione. Ho iniziato a fare direzione di coro e mi sono
avvicinato al canto tramite direzione di coro. Questa è una cosa che può
apparire strana, nel senso che per me l'approccio alla voce è stato un approccio
di tipo conoscitivo: volevo capire, per dominare lo strumento coro, volevo
essere in grado di sapere utilizzare la mia voce, di capire come dare dei
riferimenti ai coristi. Da lì è nato questo amore, questa ricerca e poi ho
scoperto abbastanza presto di avere una voce e quindi di poter cantare. Tramite
la vittoria a Spoleto, e grazie all'aiuto di un amico, che è stato citato tante
volte credo durante queste interviste, mi riferisco a
Daniele Rubboli, che ringrazio infinitamente, ho cominciato la
carriera. Voglio essere molto onesto, molto sincero: sono quasi sempre stato nel
ruolo di cantante comprimario, perché la mia voce non era né straordinariamente
grande né straordinariamente bella, era una voce normalissima, però credo sia
utilizzata con una certa intelligenza, oserei dire, e con una certa musicalità,
cosa che mi è stata sempre riconosciuta da direttori, musicisti e colleghi. Di
fatto, credo di essere sempre stato una sorta di punto di sicurezza in tutte le
compagnie di ogni tipo, di ogni genere per ogni spettacolo.
Il ruolo del comprimario è un ruolo fondamentale e anche molto difficile
perché comunque gli interventi devono essere precisi, perfetti, per cui non
tutti possono fare i comprimari perché serve comunque una grande capacità di
entrare nel personaggio nelle frasi da cantare, che non sono tantissime, ma che
devono essere eseguite con precisione, capaci di rendere l'espressività, perché
altrimenti cade la scena, per cui io direi che in realtà il ruolo del
comprimario non è assolutamente un ruolo secondario, anzi… è un ruolo difficile
e che, probabilmente, non è effettivamente da tutti.
E sicuramente il fatto che tu abbia avuto degli studi musicali
precedenti e di alto livello ha contribuito al fatto che tu fossi in grado di
entrare al momento giusto e anche con la personalità e il carattere giusto.
Giampaolo appunto tu hai lavorato tanto in Italia in produzioni di
livello, ma anche in produzioni meno riconosciute. Tutto questo ti ha sempre
consentito comunque di poter vivere della tua arte, dico bene? Quindi, come mai
hai deciso di andare all'estero e di cambiare anche la professione, cioè di
diventare maestro del coro? Tu avevi già esperienze in Italia in direzione di
coro?
Allora guarda intanto voglio fare una chiosa a ciò che hai
detto, perché mi ha fatto veramente molto piacere: le parole dette sono state
mirate e profonde ed è vero: sottoscrivo tutto ciò che hai detto. Altra piccola
parentesi ringrazio il cielo per aver potuto sempre lavorare tantissimo. Lo dico
per le giovani generazioni: il fatto di lavorare come comprimario, in realtà, da
un certo punto di vista ci permette di lavorare di più di coloro che fanno le
prime parti, perché giustamente colui che canta Rigoletto ha un'usura vocale e
un impegno vocale-atletico che non è paragonabile a quello che fa
Monterone o Marullo, Ceprano o l'usciere
di corte, tanto per citare alcuni ruoli, a volte fatti tutti in una sera
nella stessa recita dal sottoscritto. Questo, però, ti consente di lavorare
molto di più. Quando c'erano le famose spedizioni. tipo Il carro di Tespi, avevi
la possibilità di giocare su più titoli: per esempio, se c'erano Traviata, Tosca
e Il barbiere di Siviglia, il sottoscritto cantava in tutte le produzioni più
ruoli, mentre chi faceva Germont faceva solo quello e quindi questo ovviamente
si ripercuote anche sulla possibilità di stare sempre in palcoscenico e di poter
cantare e imparare di più perché poi ognuno di noi matura in questa maniera.
Inoltre, mi permetteva di guadagnare bene, ragione per cui io ripeto ringrazio
il cielo perché ho sempre lavorato tanto e ho sempre potuto guadagnare il
giusto. Tutto questo fino a quindici-venti anni fa. Poi le cose hanno iniziato a
cambiare, almeno per me, e mi sono reso conto che in Italia i titoli erano
sempre più o meno quelli, ma le produzioni hanno iniziato a ridurre il numero di
recite, inoltre gli organizzatori che contattavano gli artisti proponevano dei
cachet di gran lunga inferiori a quelli che si prendevano con l'incertezza del
momento in cui si sarebbe stati pagati.
E' capitato che si lavorava e poi... "ok, non te li posso dare questa volta, attendo la prossima volta quando
facciamo un'altra recita" oppure "guarda
i soldi che devo dare per questa recita qui li mettiamo insieme a quelli del
concerto".
E' evidente che se tu fai un tipo di lavoro di questo tipo
per un anno non c'è nessun problema, ma se la cosa comincia a diventare costante
e continua, io ho iniziato a guardarmi intorno e a valutare offerte che prima mi
erano già state fatte negli anni '90, ma avevo sempre rifiutato perché non avevo
bisogno, ma poi hanno iniziato a interessarmi.
La prima esperienza è stata in Brasile, nel 2010-2011, poi
ho fatto un anno in Venezuela e ho ricordi bellissimi non soltanto da un punto
di vista umano, ma proprio da un punto di vista artistico. Rimasi molto colpito
soprattutto dal livello del livello artistico-musicale del Venezuela. Dopo di
che è arrivata questa chiamata dalla Turchia e io ho accettato ben volentieri.
Deve essere onesto, ho accettato ben volentieri perché mi
rendevo conto che la vita che stavo conducendo in Italia non soddisfaceva quelli
che erano in miei obiettivi. Non trovavo la motivazione giusta, l'impegno
giusto, che per me era fondamentale. Poi anche per una questione di
sopravvivenza economica.
Che differenza c'è tra fare il cantante e il direttore del coro: due
professioni sicuramente differenti.
Domanda bellissima: è sicuramente è una questione di
prospettiva.
Quando sei in palcoscenico il vettore della tua energia è
tutto orientato e proiettato verso il pubblico, verso la sala, verso l'uditorio.
Al contrario, quando fai maestro del coro la tua energia,
la tua attenzione sempre meticolosa e spesso ai confini della mania, è orientata
al gruppo all'omogeneità del balance, della qualità del suono, dell'intonazione
e quindi veramente stai facendo lo stesso tipo di lavoro, ma da due prospettive
totalmente diametralmente opposte.
Quello che sul palcoscenico come cantante, come artista,
come solista ti permetteresti o ti devi permettere perché lo richiede
l'interpretazione, la tua performance, è in realtà quello che il maestro del
coro deve controllare, deve “disciplinare”.
Lo so che questa parola può sembrare antipatica, ma di
fatto bisogna far confluire tutte le energie di tutti questi solisti, perché di
fatto ha di fronte una massa di 60-70 persona, ad Ankara erano 91 solisti, 91
voci, 91 universi, così amo definire gli artisti del coro, e farli diventare
un'unità, un organismo che respira, vive e produce musica e produce sentimento,
opera in maniera unitaria.
Com'è vista l'opera lirica in un Paese anche un po' culturalmente
differente come la Turchia? Abbiamo tanti punti in comune, però è evidente che
la cultura di base, soprattutto musicalmente parlando, è un po' diversa: penso
al modo di “sentire la musica”, loro utilizzano sonorità differenti alle nostre.
Quindi com'è stato arrivare ad Ankara, che comunque una città della
Turchia, meno più spiccatamente europee e più legata alle tradizioni
mediorientali?
Per noi è difficile immaginare un amore, una passione per
una forma d'arte che è squisitamente nostra.
In realtà, la Turchia ha una tradizione lirica davvero
importante, basti pensare che il piccolo palcoscenico di Ankara, negli anni
sessanta, era definita la Piccola Scala e su quel palcoscenico si sono esibiti
Pavarotti, Dimitrova, Martinucci, etc. il meglio,
la crème de la crème della lirica
mondiale con grandissimi direttori da tutto il mondo e con un livello artistico
veramente impressionante.
Io ho sentito ho avuto la fortuna di ascoltarmi
registrazioni di lavori fatti dagli anni ‘50 fino agli anni '70-‘75 con
veramente performance di altissimo livello.
La Turchia viene da una civiltà totalmente diversa, con un
modo anche di sentire la musica completamente differente dal nostro, perché la
musica turca ha i suoi fondamenti sul quarto di tono che alle nostre orecchie
viene percepito come una stonatura.
Il quarto di tono al nostro orecchio, non abituato, appare
come qualcosa di impreciso, mentre per loro è un carattere veramente basilare
della musica.
Nononostante, quindi, queste differenze, c'è una passione
straordinaria soprattutto tra i giovani.
Non dimentichiamo che la Turchia un Paese enorme: 3-4 volte
l'Italia con una densità demografica elevata e in continua espansione e qui c'è
un bacino di nuovi utenti, di nuovi appassionati della lirica straordinaria e
con tantissimi giovani. Nei conservatori le classi di canto sono piene di
ragazzi che amano la lirica, il belcanto e sono anche dotati di ottimi
strumenti, questo proprio da un punto di vista fisiologico perché hanno proprio
la struttura: quella della dello strumento veramente forte, sonoro, molto
risonante simile a quello dei paesi dell'Unione Sovietica o della Bulgaria.
Questa passione per la lirica è, però, mitigata dalla loro
tradizione del canto popolare.
Qui consentimi di fornire un ulteriore dettaglio: c'è una
grande vicinanza tra la musica popolare e la musica lirica: in realtà per loro
non esiste, da un punto di vista proprio culturale, la differenza tra quello che
è il linguaggio del canto aulico, del canto professionale, del canto popolare.
Tutti i grandi cantanti di musica lirica turca, a partire
da Leyla Gencer che è la più conosciuta, ma ce ne sono stati altri, se non più
bravi se non più bravi tecnicamente, quantomeno addirittura più formati da un
punto di vista dell'artisticità, che non hanno mai rinunciato a cantare musicale
popolare, assolutamente sempre, proponendola addirittura nei programmi dei
concerti. Per cui tu puoi vedere il concerto di un solista il quale canta della
prima parte 8-12 romanze da opere liriche famose poi nella seconda parte fa
tutta una scaletta attingendo dal repertorio popolare.
Forse dovremmo
imparare qualcosa anche noi perché magari riusciamo ad avvicinare anche un po'
più di pubblico, perché magari appunto c'è chi dice “Oh, no, tutta lirica no”, e
invece con un programma misto…
Splendida riflessione la tua, concordo appieno, anche
perché in questo modo si potrebbe anche nobilitare ciò che tra gli addetti ai
lavori, a volte, viene un po' “snobbato”.
C'è un repertorio
veramente di genuino di canto popolare nostro italiano che potrebbe essere
davvero interessante da proporre e da portare in giro con belle voci.
Andiamo, invece, in
Portogallo: lì come sentono l'opera lirica, com'è considerato il lavoro
dell'artista musicale? Com'è considerata la cultura? Che differenze ci sono
rispetto all'Italia. Come si comportano all'estero in tempi di pandemia? Si può
vivere ugualmente facendo questa professione?
Mi allaccio alla tua ultima domanda e poi vado a ritroso.
Per quanto riguarda la questione economica anche se il
Portogallo ha vissuto la pandemia in forma più leggera, nulla di paragonabile a
ciò che è successo in Italia, Spagna o Francia, comunque i lavoratori sono stati
tutelati al massimo. Anche nei mesi in cui non si non si è lavorato, perché il
teatro era chiuso, le masse artistiche hanno sempre percepito il salario normale
C'è stato un impegno importante del Governo nel sostenere
l'attività del teatro. Tieni, però, presente che il Sao Carlos è l'unico teatro
nazionale, fiore all'occhiello di questa nazione. E' una nazione che investe
tantissimo nell'educazione musicale, nella scuola e di conseguenza nella
preparazione dei musicisti e dei cantanti.
In periodo di lockdown sono stato arruolato e inserito in
un progetto che prevedeva la diffusione della musica, in particolare dell'opera
lirica, nelle scuole medie e superiori e la cosa funzionava così: c'erano
contributi di esperti, come il sottoscritto, i vari artisti portoghesi,
musicologi, musicisti, cantanti solisti, direttori d'orchestra e la
partecipazione stessa dei ragazzi, i quali eseguivano brani, oppure avevano
preparato degli interventi da fare sui compositori che andavano a trattare,
sulle opere: una proposta formativa di livello molto alto.
Venendo alla domanda: “Com'è la situazione?” ti dico che
qui siamo nella nel cuore della grande cultura, della grande tradizione europea.
Lisbona ancor oggi è molto importante e anche in passato è
stata un punto importante storicamente della lirica a livello mondiale: tutti i
più grandi sono stati qui e si respira quell'aria in questo splendido teatro e i
migliori continuano ancora oggi a tornare, a calcare questo palcoscenico.
Perciò la qualità artistica di quello che si fa è veramente
molto alta.
Naturalmente l'impegno è consequenziale e ciò che mi
colpisce, ciò che veramente mi colpisce molto rispetto agli ultimi ricordi che
ho dell'Italia è la gioia che si avverte nel lavorare, nel fare musica a questi
livelli ed è veramente un senso di pienezza e di benessere che negli ultimi anni
in Italia non avvertivo più e che mi piacerebbe tornare a sentire.
Allora noi ti
invitiamo comunque a tornare, così ci porti anche tu un po' di questa gioia che
hai recuperato. In questo momento appunto c'è un po' di rassegnazione, perché
tante persone si sono trovate a dover cantare chiusi in una casa, in una stanza
della propria casa e certamente non è la stessa cosa che cantare in un teatro.
So che tu hai fatto anche delle audizioni in teatro e hai ascoltato cantanti che
venivano da questo periodo di tra virgolette “di stop” e che cosa hai sentito?
Le voci ne hanno
risentito di questa mancanza del teatro secondo te?
Da un esperto, quali
sono le tue impressioni? Cosa ha causato anche questo lock down al di là dei
problemi burocratici, sicuramente anche legati al sentimento di depressione, ma
a livello vocale che impatto ha avuto il Covid?
Si, credo che sia un'indicazione preziosissima che possiamo
dare a chi ci ascolta.
La sensazione che ho avuto io, ma non solo io, tutta la
commissione ascoltando queste voci di artisti anche importanti arrivati da tutto
il mondo perché era un concorso internazionale per un posto fisso nel nostro
teatro, l'incidenza della del fatto di cantare in ambienti piccoli, si è
percepita la sensazione che alle voci mancasse la portanza, cioè mancasse di
cantare e all'aperto o comunque di cantare in grandi spazi, in grandi teatri, in
grandi sale e perciò di dover proiettare la nostra voce in maniera generosa.
Se posso permettermi è proprio un avvertimento, un invito
coloro che ci ascoltano: trovate uno spazio grande dove potete andare a cantare:
fatevi amici del parroco della chiesa e andate a cantare qualche minuto in
chiesa.
C'è il bisogno di liberare le nostre voci, di non chiuderle
nella dimensione delle quattro mura di casa perché questo veramente si sente
tantissimo.
Da Lisbona e dalla
Turchia quali ricette ci suggerisci per far ripartire la cultura musicale nel
nostro Paese?
Quali altri
ingredienti inseriresti in questa ricetta per aiutare la cultura musicale,
soprattutto dell'opera lirica in Italia?
Dobbiamo creare il pubblico dobbiamo creare. Noi artisti
dobbiamo scendere dal trono su cui ci siamo idealmente posti e tornare in mezzo
alla gente, in mezzo ai ragazzi, in mezzo ai giovani e creare il pubblico, che
vuol dire rimettersi a fare teatro ragazzi, vuol dire andare a fare a fare opera
di divulgazione nelle classi, nelle scuole, ma anche nelle associazioni di
volontariato della terza età.
Dobbiamo coinvolgere le persone, ricreare il mercato,
ricreare un uditorio, dobbiamo ricreare un pubblico di persone che veramente
godono nel piacere di a sentirci cantare, nel vederci agire sul palcoscenico.
Altrimenti diventa un discorso autoreferenziale cioè ce la
cantiamo e ce la suoniamo tra noi.
Avrei altre mille
domande da farti, ma abbiamo già detto tanto.
Ti ringrazio
moltissimo per la disponibilità, per la tua testimonianza perché appunto non
tutti conoscono la realtà di chi fa questo lavoro e quindi ci sembra corretto
darvi appunto voce darvi la possibilità di raccontare.
Nei mesi scorsi
abbiamo intervistato due tuoi colleghi che conosci benissimo Gabriele Nani e
Elena Serra e sicuramente attraverso loro e anche attraverso la testimonianza di
altri continueremo queste interviste anche nel prossimo futuro attraverso le
vostre testimonianze cerchiamo di far conoscere questa realtà che va
assolutamente sostenuta e incentivata, non solo dagli enti, da chi ci governa,
ma anche da noi stessi: dobbiamo imparare noi per primi a dare valore al nostro
lavoro, a tutelarci e a sostenerci.
Liricamente.it utilizza cookie, anche di terze parti. Se vuoi saperne di più o negare il consenso a tutti o ad alcuni cookie clicca qui. Chiudendo questo banner, scorrendo questa pagina o cliccando qualunque suo elemento acconsenti all'uso dei cookie
Leggi tuttoOk