In quella seconda metà dell'Ottocento, le nascite nella città di Lucca erano
particolarmente frequenti e caso volle che il 22 dicembre del 1858, in casa
Puccini giungesse il quartogenito.
Con il passare degli anni poi, di ragazzi prodigio che aspiravano alla
composizione se ne contavano diversi e il loro genio, (buonasorte volendo che
non si perdesse per strada) prometteva bene per una degna "successione verdiana".
Tra tutti costoro, non era per niente considerato un prodigio, ne un genio,
ne tanto meno un virtuoso il giovane Giacomino; anzi, i suoi appellativi
abbracciavano aggettivi quali maleducato, svogliato, fannullone e privo di qual
si voglia forma di attitudine e talento musicale.
In realtà egli si trovò a studiare musica perché proveniva da diverse
generazioni di maestri di cappella, e così per volere dei suoi genitori iniziò a
prendere le prime lezioni di solfeggio e pianoforte presso lo zio musicista
Fortunato Magi il quale a suon di ceffoni e rimproveri lo fece diventare
organista, ma del resto del pentagramma e della musica, al ragazzo non
interessava proprio nulla, perché allo squattrinato lucchese altro non importava
che le donne, le auto e il gioco.
Qualcuno però quella sera lo attendeva e paradossalmente quel qualcuno era un
mulo sul quale Giacomo, per trascorrere una serata diversa dalle altre, si
sedette per andare a Pisa per assistere ad una rappresentazione dell'Aida
e quella marcia trionfale, cantata e suonata così come mente verdiana concepì,
scaturì sufficiente furore da far accendere in Giacomo il fuoco dell'opera,
quella freccia di Cupido che si tradusse in una penna da compositore che egli
non lasciò mai più.
Si trasferì così a Milano per studiare in conservatorio dove fu allievo di
Amilcare Ponchielli e Antonio Bazzini.
Nel 1883 partecipò al concorso per opere in un atto con la sua "Le Villi"
che, anche se non vinse il concorso, ebbe un ottimo successo di pubblico e
critica tale da commissionargli altri lavori e con il sodalizio artistico con i
librettisti Luigi Illica e Giuseppe Giacosa, iniziò il periodo più
fervido del compositore. Giunsero infatti i primi capolavori come Manon
Lescaut, La Bohème, Tosca, Madama Butterfly, tutt'oggi
gioielli lirici rappresentatissimi in tutto il mondo.
Dopo questi ultimi, la morte di Giuseppe Giocosa, Giulio Ricordi e
alcuni episodi di cronaca rosa, fecero subentrare un periodo di crisi nella
carriera di Puccini, che terminò con la messa in scena de "La
fanciulla del west" e il suo "Trittico", per ultimare la sua carriera
con l'incompiuta "Turandot", portata a termine da Franco Alfano.
Giacomo Puccini si spense a Bruxelles nel 1924 a causa di un tumore
alla gola: aveva appena 66 anni.
Tranne qualche breve parentesi di commedia lirica, si è imposto come
capostipite della composizione lirico-drammatica (in particolar modo femminile),
scrivendo nelle sue opere le romanze più belle (sia per soprano sia per tenore)
che siano mai state scritte. Cantatissime sono le sue "E lucevan le stelle",
"Nessun dorma", "Che gelida manina", oppure le sopranili "Un
bel dì vedremo", "Vissi d'arte", "In quelle trine morbide", "Mi
chiamano Mimì" e tante altre ancora.
Non a caso egli stesso confessò che… "Se non fosse entrata la musica nella
mia vita, non sarei stato in grado di combinare nulla!".
Tale fu una delle ultime esclamazioni del maestro Puccini, che precedettero la
sua morte. |