Mario Lanfranchi è stato uno dei più grandi registi d'opera del 900.
Già in quei primissimi anni '50 infatti, quando mamma rai era ancora una
“bambina in fasce”, fu proprio lui a gettare l'idea di produrre l'opera in
versione film, e da allora, tale filone è diventato un “cult movie” che
tutt'oggi viene portato avanti dalla televisione di stato.
Quel giovane talento non tardò così a venire allo scoperto con quel "bagaglione"
di idee che aveva in mente; idee che tra l'altro presero presto vita nella
lirica, ma anche nella prosa, nel teatro, nel cinema; insomma nulla è sfuggito a
questo straordinario artista dall'insaziabile passione per la conduzione
scenica.
L'ottantaduenne Mario Lanfranchi ha rilasciato ad
Antonio Guida un'intervista senza esclusioni di puntature di “cronaca rosa”
riguardante la sua invidiabile carriera non solo di regista, ma anche di
seduttore del gentil sesso. Donnaiolo con pochi eguali, infatti, oltre alle
innumerevoli storie, vanta un matrimonio con la meravigliosa Anna Moffo, una
convivenza con l'inequiparabile Virginia Zeani e una relazione con la titanica
Renata Tebaldi.
1) Lei ha girato tutto il mondo, è stato un autentico cosmopolita. Ma di che
nazionalità si sente Mario Lanfranchi?
E'un po' difficile dirlo; certo è che ho un po' di nostalgia per Milano perché
mi ricorda dei miei esordi negli anni '50 quando appunto nacque la televisione;
erano bei tempi, erano i tempi della creatività e Milano era un po' la madre di
tutti i nuovi “ideatori”, me compreso ovviamente.
Poi devo dire che mi manca anche New York perché mi ricorda la città che più di
tutte forse era legata a certe tendenze giovanili; e non ultima, la mia Londra;
città nella quale ho vissuto per circa venti anni.
Dopo tanti anni però, credo che Milano si sia spersonalizzata; prima era una
piccola America ove se avevi l'inventiva giusta potevi facilmente emergere, oggi
purtroppo non ci sono più tutte queste possibilità. Londra invece ritengo che
abbia perso molto della sua londinesità per via delle nuove immigrazioni.
2) Lei si è diplomato all'Accademia dei Filodrammatici (diploma in regia e
recitazione). In quegli anni cosa aveva in mente?
Studiai in tale accademia perché aspiravo alla recitazione, mi sarebbe piaciuto
molto fare l'attore di prosa e non lo nego che mi piace ancora tutt'oggi. Ma poi
un giorno successe un fatto strano. Un attore di prosa infatti, venne da mio
padre a chiedere dei soldi per portare dal veterinario il suo cane, al che mio
padre mi disse “Ecco, vedi figliolo? Costui è il più grande attore italiano di
prosa e non ha nemmeno i soldi per portare il proprio cane dal veterinario. Ora
capisci perché ti dico che non vale la pena fare questo tipo di lavoro?”.
3) Poi si è affermato prevalentemente come regista d'opera lirica. Ma chi sono
stati i suoi miti della lirica?
Beh, anzitutto non tralascerei i fatto che io stesso fui tenuto a battezzo dal
grande tenore Francesco Merli e dal soprano Mercedes Carpsia; posso poi dire che
i miei miti sono stati un po' tutti i grandi artisti della mia epoca con
particolare riferimento a Franco Corelli e a Gina Cigna
4) Nei primo quinquennio della sua produzione così, realizzò una dozzina di
opere in versione film. Qual è stata la più soddisfacente?
Tutte mi diedero una grandi soddisfazioni perché tali produzioni furono una
novità che proposi io allora ai vertici della “neontata” RAI e loro stessi ne
furono entusiasti di un tale progetto
L'opera che però più di tutte di tanto in tanto mi ritorna in mette è
sicuramente la Madama Butterfly, perché in quella occasione conobbi quella che
poi sarebbe diventata la mia futura moglie, la bellissima Anna Moffo.
5) Secondo lei qual è l'opera che registicamente è più difficile in assoluto
da rappresentare?
Credo l'Aida, per la sua mole che impegna molto la scena, ma a mio avviso anche
la Turandot e la Bohème sono delle belle gatte da pelare come direzione scenica.
6) Lei è stato anche un regista di film western. Dirigere un western è come
dirigere un qualsiasi film oppure no?
Certo; rispetto agli altri generi, nei western bisogna avere sicuramente quella
sensibilità che ti porta a cogliere i punti epici e fiabeschi del western per
poi farli viverli e trasmetterli al pubblico.
7) Lei è stato un grande appassionato di cavalli: cavalca ancora Mario Lanfranchi?
Beh non più come una volta sicuramente; oggi ho 81 anni, ma di tanto in tanto
qualche galoppata me la faccio ancora. 8) Ci racconta di El Tenor?
Una sera un mio amico mi pregò di andare a vedere le corse dei levrieri e da
allora è nata la mia passione.
9) Secondo lei com'è cambiato il modo di dirigere scenicamente l'opera?
Senza ombra di dubbio dico che per me le regie moderne sono sbagliate. L'opera è
un monumento che va salvaguardato come tale; ogni manomissione impropria quindi
non fa altro che alterare il fascino di questa immensa eredità culturale che ci
hanno rilasciato i grandi del passato. Non esiste l'opera moderna.
10) Il Comune di Parma, nel 2004, l'ha onorato con il massimo riconoscimento
della città: il Premio “S. Ilario d'Oro”. C'è ancora un titolo che Mario Lanfranchi deve raggiungere?
Posso dire che sono contento perché ho sperimentato tutti i generi: film, prosa,
opera, operetta. Ho un solo rimpianto: riguarda un attore americano di nome
Robert Ryan, al quale negli anni '60 volevo far fare la parte di cattivo. Dopo
avergliene parlato lui mi rispose che non voleva interpretare quel ruolo e mi
disse che se io non avessi cambiato la sceneggiatura, lui avrebbe rinunciato
alla scrittura. Purtroppo non ebbi il coraggio di cambiare la sceneggiatura e
ciò ancora oggi mi porta qualche rimpianto.
11) Lei è stato, e lo è ancora tutt'oggi un noto donnaiolo. Ma quante donne ha
avuto Mario Lanfranchi?
Ad occhio e croce credo più di mille e la mia arma segreta è stata sempre una
filosofia molto semplice di seduzione e cioè che la donna si conquista parlando
e di solito ho sempre preferito usare tale strategia con le brune perché a mio
avviso esprimono una sensualità particolare.
Come storie importanti poi, note anche ai media, ho avuto un lungo matrimonio
con Anna Moffo, una convivenza do quattro anni con Virginia Zeani, e una
relazione con la Tebaldi.
12) Chi è il suo erede?
Essere l'erede di Mario Lanfranchi vuol dire possedere un eclettismo artistico
interno che ti porta da aprire finestre su vari generi e tipi di spettacolo.
Oggi in Italia abbiamo dei grandi registi, io ne stimo molti, ma tale qualità di
polivalenza non la riscontro in nessuno di loro
13) Quali impegni per il futuro?
A questa età mi godo i miei anni ritornando alla mia vecchia passione di attore
da prosa; nella mia villa a Parma infatti, tengo dei recital in cui parlo e
recito Shakespeare. |