ADRIANA LECOUVREUR AL MASSIMO DI PALERMO
Il Maestro Donato Renzetti chiude l'ultima misura della partitura, il
sipario scorre lentamente, Adriana giace a terra senza vita, su di
lei un cono di luce bianca, silenzio per qualche secondo e poco alla volta
insorgono i fragorosi applausi del folto pubblico commosso, rimasto attonito in
assoluto silenzio religioso.
Un'ovazione per Daniela Dessì che si rivela ancora una volta grande
interprete anche del repertorio verista e che può essere annoverata certamente
tra le più grandi esperte che l'hanno preceduta nel titolo del ruolo.
Ricordiamo con gran piacere la precedente Adriana di Raina Kabaivanska degli
anni novanta con Giorgio Merighi al Teatro Politeama, che era stato pure un gran
successo, ma possiamo confermare che anche questa edizione non ha nulla da
invidiare.
Daniela Dessì è in piena carriera ed in piena maturità vocale di soprano
lirico dall'ottima estensione, dal bel timbro adeguatamente drammatico, che gli
consente di affrontare con gran sicurezza i ruoli più spinti e nei recitativi
come in quest'occasione, si dimostra grande attrice raffinata ed elegante.
Sin dall'esordio di "Io son l'umile ancella” del primo atto, affascina
gli spettatori nonostante la voce ancora fredda, in “Poveri fiori” ed “Ecco
la luce” dell'ultimo atto raggiunge la massima espressione recitativa, ma in
“Giusto cielo! che feci in tal giorno, di Fedra” è grande attrice
drammatica.
In perfetta sintonia - insieme a Daniela anche nella vita e lo si vede
dall'affiatamento nei verosimili duetti amorosi - Fabio Armiliato,
Maurizio, Conte di Sassonia, anch'esso beniamino del pubblico
palermitano, in piena forma ha risolto il personaggio con sicurezza. Armiliato è
un tenore lirico dal bel timbro e dallo stile elegante che non ha una voce dal
gran volume, ma riesce a manifestare, grazie alla tecnica accurata e
costantemente alla ricerca di perfezionamenti, le giuste espressioni, talvolta
romantiche in “La dolcissima effigie ”, affrante in “L'anima ho stanca
” oltre che eroiche in “I miei s'appiantano dietro ogni ostacolo ”.
Personaggio opportunista, Maurizio è conteso tra le due pretendenti, Adriana e
la Principessa di Bouillon. Ildiko Komlosi nelle vesti
della principessa è ottima rivale di Adriana, sin dall' "Acerba voluttà"
estende la sua ricca e potente voce di mezzosoprano dal bel timbro scuro.
Artista ungherese in carriera sin dalla fine degli anni ottanta, anch'essa
affermata interprete internazionale, ha coperto tutti i ruoli del suo registro
con gran successo di critica e di pubblico. Il duello con Adriana – soprattutto
vocale - è stato esemplare, eseguito da entrambe con potenti ed accesi accenti,
oltre ai bellissimi duetti amorosi con Maurizio.
Un po' giù di tono invece l'interpretazione di Michonnet di
Alberto Mastromarino, non tanto per il personaggio piuttosto adeguato, ma
per la resa vocale che non è sembrata appropriata. Chiaramente Michonnet
richiede più recitazione che piena estensione vocale, ma da questo affermato
baritono dal bel timbro scuro e pastoso – molto apprezzato precedentemente al
Massimo in Tonio de I Pagliacci ed in Gianni Schicchi - avremmo preferito una
voce più impostata in maschera e meno “nasale”, come è stata invece spesso.
Tuttavia ha risolto il ruolo con professionalità ed in “Ecco il monologo”
è stato un buon interprete.
Completavano dignitosamente il cast il basso Roberto Tagliavini-Principe
di Bouillon, il tenore Aldo Orsolini-Abate di Chazeuil,
oltre i soprani Patrizia Gentile-Jouvenot e Luisa
Francesconi-Dangeville, madamigelle.
Adriana Lecouvreur dalla storia e dal libretto un po' complesso per gli
intrighi amorosi che si svolgono è insieme alla precedente “L'Arlesiana” la
composizione più significativa del trentaseienne Francesco Cilea, della
scuola verista. Tuttavia rispetto agli altri musicisti della giovane scuola,
come Giordano e Mascagni, si distingue per la particolarità melodica di chiara
ispirazione francese e per la tessitura più accurata. L'opera è colma infatti
d'arie e duetti d'ampio trasporto e di un'orchestrazione ricca di bellissimi
colori che Donato Renzetti, tornato alla direzione della compagine del Massimo,
ha approfondito con accurata concertazione.
Ripresa da un ormai storico allestimento dell'Opera di Roma, la regia di
Giulio Ciabatti è sembrata un po' statica, belle le scene di Ettore
Rondelli anche se molto tradizionali e piuttosto sobri ed eleganti i costumi
di Maria de Matteis. Al solito il pubblico si è diviso tra i
“conservatori” che ovviamente l'hanno molto apprezzata e tra coloro che
avrebbero preferito delle innovazioni registiche, pur se contenute nella
razionalità.
In ogni caso le scene non erano così complesse da giustificare i lunghi ed
estenuanti intervalli tra i quattro atti.
Una rappresentazione in definitiva artisticamente completa ed acclamata con ampi
consensi anche per tutti gli altri interpreti, per il coro e per la coreografia
del balletto del “Giudizio di Paride”.
Gigi Scalici |