La letteratura operistica e la discografia sono ricche di recensioni e di album
sui grandi soprani e sui grandi tenori, ma molto meno per quanto riguarda le
estensioni vocali del registro medio-grave. Quella dei baritoni è ad esempio una
categoria sicuramente molto apprezzata ma non divulgata a pari merito dei
suddetti, nonostante la storia della lirica sia ricca di grandissimi nomi.
In questa circostanza – lungi dal voler fare confronti tecnici tra questi
straordinari artisti - si pongono in risalto quattro tra i più grandi interpreti
del novecento che – interposti tra quelli ormai storici e tra gli attuali in
carriera – rappresentano un pezzo di storia interpretativa della musica lirica.
Si prende spunto dall'album Four Famous Italian Baritones, edito nel 1997 dalla
Arckiv Music, per citare in ordine cronologico:
Mario Basiola, Carlo Tagliabue, Gino Bechi e Tito Gobbi, in registrazioni
comprese tra il 1935 ed il 1942, scelte con attenzione, praticamente il loro
meglio di quel periodo.
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Mario Basiola, tra i quattro è quello dal timbro più chiaro di tutti, ma
nobile, esteso, pastoso, “rotondo”, ricco di armonici soprattutto nel registro
centrale e dotato di una cantabilità di pregiata bellezza.
Nato nel 1892 e scomparso nel 1965 ad Annicco, Cremona, è stato acclamato
interprete internazionale, prevalentemente nelle opere del bel canto e degli
autori francesi, ma anche grande esecutore del melodramma verdiano, pucciniano e
delle ultime opere veriste. La sua carriera si è sviluppata a cavallo delle due
guerre mondiali; esordì infatti nel 1915 per concluderla nel 1952 e forse a
causa di questo è stato ingiustamente meno apprezzato degli altri colleghi.
Insegnante di canto, è stato seguito dall'omonimo baritono, il figlio Mario. A
lui è intestato il famoso concorso di Cremona per cantanti emergenti ed il
Comune di Annicco sul proprio web gli ha dedicato online una breve ma
significativa biografia.
Esemplare altresì l'idea dell'artista che, tornato in Italia dopo tanti anni di
successo a New York, si fece costruire una bella villa che riproducesse in
miniatura il Metropolitan. Oggi la Villa Basiola di Annicco è un'elegante e
prestigiosa sede di manifestazioni culturali musicali (Cremonamostre.it).
Nell'album si dà ampio merito soprattutto al Largo al factotum rossiniano
de Il barbiere di Siviglia per la brillantezza, l'agilità del
fraseggio e la sicurezza nell'estensione, mentre A tanto amor de La
Favorita di Gaetano Donizetti e Vision fugitive (in lingua
italiana) de Hérodiade di Jules Massenet sono una lezione
di bel canto per la bella espressione e la nobiltà dello stile.
Con Carlo Tagliabue si torna ai baritoni lirico-drammatici di “vecchia
scuola” dal classico bel timbro brunito ed esteso, dagli acuti intensi e sicuri,
dalla voce morbida e dal fraseggio sicuro anche nelle mezze voci e nei filati.
Nacque a Mariano Comense nel 1898 e si spense ottantenne a Monza. La sua
carriera è compresa tra il 1922 ed il 1962. Si distinse giovanissimo nel corso
della prima guerra mondiale per meriti di canto. Dotato di una tecnica
sopraffina riusciva a colmare talune insufficienze interpretative ed è stato tra
i baritoni più acclamati nelle interpretazioni verdiane. Ottimo interprete di
Rigoletto e di Jago, ma anche wagneriano e del repertorio romantico, ha cantato
con i colleghi più grandi di quel bellissimo e fortunato periodo della lirica:
Maria Caniglia, Claudia Muzio, Beniamino Gigli, Giacomo Lauri Volpi e
successivamente con Maria Callas, Renata Tebaldi, Mario Del Monaco e Giuseppe Di
Stefano.
Dedicatosi infine all'insegnamento è stato maestro del baritono Giangiacomo
Guelfi. Sono molte le sue registrazioni, anche dal vivo. Preziosa la Forza del
Destino con Maria Callas, Richard Tuckers, Elena Nicolai e Nicola Rossi Lemeni,
diretti da Tullio Serafin, Teatro alla Scala del 1954 – Emi.
Scrisse di lui Mario Rinaldi - Il Messaggero, 6 agosto 1956 (Giorgio Gualerzi,
dal Bollettino dell'Istituto di studi verdiani di Parma del 1982):
“Artista che conosce gli accenti e l'arco della melodia verdiana come pochi”
Nell'album della Arckiv Music, si distingue per le importanti interpretazioni in
Pari siamo di Rigoletto ed Eri tu che macchiavi
quell'anima da Un ballo in maschera di Verdi, per il
bel timbro scuro, l'intensità e la precisione degli acuti ai limiti
dell'estensione e nel contempo per la nobiltà del porgere la frase.
Gino Bechi è stato indubbiamente il baritono più completo di quel
periodo, sia sul piano musicale sia su quello interpretativo. L'ampia
estensione, il bel colore molto scuro del timbro, la tecnica, la potenza, le
lunghissime corone, la sicurezza e le qualità interpretative lo hanno reso forse
il più amato dalle platee internazionali, quasi al pari di quel gran baritono
che era stato Titta Ruffo, cui si era ispirato.
Nato nel 1913 a Firenze ed ivi scomparso nel 1993, ebbe una carriera colma di
meritatissimi successi, sin dal 1936 in tutti i teatri del mondo, soprattutto
nel ruoli verdiani, ma anche in Rossini, nel repertorio romantico ed in quello
verista. La sua migliore resa vocale è stata in maggior parte negli anni
quaranta, in cui ancora brillava per lo smalto della voce e per la ricchezza
interpretativa.
Fu protagonista di innumerevoli interpretazioni eseguite sempre con gran
generosità e continuò l'acclamata carriera sino agli anni sessanta. E' stato un
Figaro, un Rigoletto, un Germont, un Jago, un Gerard di riferimento per tutti
gli altri colleghi che sono subentrati. Grande attore musicale, anche di genere
non propriamente operistico, lo ricordiamo nel video di Traviata con Anna Moffo,
opera del suo debutto nel mondo dell'opera. Ritiratosi dal palcoscenico, nel
1965 iniziò ad insegnare a Firenze e negli ultimi anni volle provare anche in
Cina.
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Come registrazioni prevalgono le filmografie, eccetto alcuni album dei
migliori anni. La scelta della Arckiv Music anche per Bechi è stata più che
appropriata: in pratica O de' verd'anni miei di Ernani,
Cortigiani vil razza dannata di Rigoletto, il Credo in un
Dio crudel dell'Otello di Giuseppe Verdi e Nemico
della patria di Andrea Chenier di Umberto Giordano,
sono chiaro esempio di grande scuola di canto.
Peccato che manchino arie di Rossini, come Largo al factotum del
Barbiere di Siviglia e Resta immobile del Guglielmo
Tell, che si possono invece ascoltare in un album rimasterizzato del
1955 della Emi.
Scrisse di lui Giorgio Gualerzi, dal Bollettino dell'Istituto di studi verdiani
di Parma del 1982:
“ Gino Bechi ha posto la voce (ed è superfluo ripetere quale forma di
suggestione timbrica possegga la voce di Bechi) al servizio della musica, dalla
prima all'ultima battuta, e questa crediamo che sia la più alta lode che gli si
possa fare.”
Riportiamo pure fedelmente un simpatico stralcio in calce all'articolo - colmo
di complimenti per le sue note caratteristiche di cantante attore dalla spiccata
personalità - scritto da Lattes Wanda nell'edizione del Corriere della sera del
3 febbraio 1993 per l'Artista, anche noto collezionista di trenini, morto il
giorno prima.
“Scomparso Gino Bechi, il re dei baritoni che sognava i treni ”
“ …… Raccoglieva centinaia di vagoncini, stazioni, rotaie; aveva sfondato le
pareti di casa per far correre senza ostacoli i treni del suo sogno. …… Il
racconto che più l'emozionava era quello del debutto alla Scala nel '36: arrivò
chiamato d'urgenza da Marinuzzi accanto a Gigli e alla Cigna per "La forza del
destino". Salì le scale verso il camerino letteralmente in mutande per indossare
in tempo l'abito di scena. Non sbagliò una nota. ……“
Con Tito Gobbi, nato a Bassano del Grappa, coetaneo di Gino Bechi e
scomparso prima a Roma nel 1984, si chiude questo ciclo di grandi Baritoni.
Grandissimo interprete, anche se di qualità vocali non eccellenti ma di
pregevole tecnica, non può non essere ricordato come Rigoletto, Jago e Scarpia
di riferimento degli anni cinquanta.
Le registrazioni della Emi con la direzione di Serafin, con Maria Callas e
Giuseppe di Stefano, di Rigoletto e Tosca sono forse insuperabili per qualità di
canto e di interpretazione, grazie anche al grande affiatamento che avevano i
tre attori.
Ha colmato con gran raffinatezza di espressione, di precisione degli accenti e
con accuratissime interpretazioni talune lacune che a confronto con Gino Bechi
non potevano non emergere. Esemplare nel recitar cantando, studiava i suoi
personaggi in tutti i particolari adattandoli a se stesso per renderli più
possibilmente realistici, attuali, con dovizia di particolari, sia nei costumi,
sia nei trucchi.
In Tito Gobbi si distinguono sia lo stile di Bechi sia quello di Mario Basiola
al quale sicuramente si era ispirato. Il primo per le interpretazioni verdiane
che lo hanno pure reso famoso, il secondo per le arie romantiche che sapeva
eseguire con estrema raffinatezza.
Inizialmente dal timbro chiaro, nel corso della carriera la sua voce si fece
sempre più spessa, sino a potergli consentire di cantare i ruoli più scuri, ma
Gobbi non è stato soltanto interprete verdiano e pucciniano, il suo repertorio
vastissimo si estende ad esempio da Monteverdi a Mozart, Rossini,Bellini,
Donizetti, Wagner, agli ultimi veristi, nonché sino ad Alban Berg.
Anche lui ottimo attore cinematografico-cantante, dedicò gli ultimi anni alla
regia, alla scenografia ed all'insegnamento, dando il massimo ai suoi allievi,
cercando di trasmettere loro con generosità tutta la propria esperienza.
La sua discografia è notevole, nell'album in questione si è data particolare
attenzione alle arie di Don Giovanni di Mozart Deh veni alla finestra, risolta
con una raffinatezza senza eguali e Buona Zazà e Piccola zingara
di Zazà di Leoncavllo, per evidenziare le sue qualità
espressive ed interpretative, dai bei colori, dai significativi accenti e
dall'ottimo fraseggio.
Dice di lui Luca Chierici ( CD “Great Voices”) da “associazionetitogobbi.com”:
“E' certo che se si tenta di riassumere la figura di Gobbi attraverso l'esame
cronologico di una carriera vastissima e la straordinaria varietà di personaggi
affrontati sul palcoscenico è difficilissimo negare di trovarsi di fronte a una
personalità di cantante, di interprete, di attore che probabilmente non ha
eguali tra le figure di baritono italiano. Il rapporto con i colleghi, la stima
per i grandi direttori con i quali aveva collaborato sono senza dubbio ulteriori
tasselli di un mosaico che ci porta a riguardare la figura di Gobbi come quella
di un artista complesso, a volte criticabile, ma pur sempre appartenente a
quella ristrettissima categoria di personaggi che hanno fatto la storia del
Teatro Lirico negli ultimi cinquant'anni.”
In definitiva quattro cantanti d'altri tempi, ognuno con le proprie
caratteristiche peculiari, con i propri timbri, con i loro stili di canto, ma
assolutamente di riferimento per tutti gli altri baritoni che sono subentrati e
per quelli che attualmente calcano le scene di questo nuovo secolo.
Gigi Scalici
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