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» Recensione Nabucco di Verdi al Teatro Massimo di Palermo

Gigi Scalici, 01/02/2010

In breve:
Palermo 24/01/2010 Senza cavalli e senza orti pensili, la riuscita innovativa lettura registica di Nabucco, tanto atteso e tornato al Massimo dopo l'ultima rappresentazione in forma di concerto del 1974, prima della chiusura di ben ventitré anni, per una ristrutturazione non ancora ultimata. Lo spettacolo precedente era stato invece realizzato nel 1989, al Teatro Politeama con allestimento tradizionale.


In effetti per apprezzare questo spettacolo di apertura della nuova stagione, firmato da Saverio Marconi, noto anche come regista di musical, è necessario tralasciare per un poco le realizzazioni storiche ed entrare nel merito di quest'allestimento, con scenografia di Alessandro Camera e costumi di Carla Ricotti che, senza alcun particolare stravolgimento, è ricco di riferimenti e di bei costumi d'epoca, oltre che di magnifici effetti luminosi.

Scena semi fissa per i quattro atti, con una grande scalinata bianca circolare semovente, tipo anfiteatro, con al centro un gigantesco tronco di cono, raffigurante un tapiro e che tirato dall'alto, mostra i particolari scenografici dell'opera, in cui prima di ogni singolo atto su un sipario di base pure bianca, vengono proiettati alcuni passi biblici.
Prevalgono pure le nette differenze degli intensi colori rosso e blu, rispettivamente per gli Assirobabilonesi e per gli Israeliani.

Nabucco (Nabucodonosor), composta su libretto di Temistocle Solera in un difficile momento della propria vita, dopo il clamoroso insuccesso della prima opera comica “Un giorno di regno” ed i gravi lutti familiari, è la prima opera completa del ventinovenne compositore di Busseto: spettacolare, ricca di cavatine e di cabalette di grand'effetto, con la singolare banda dietro le quinte e soprattutto colma di pagine dedicate all'interpretazione corale che nella struttura riveste carattere primario.

Il coro del Massimo, ben preparato da Andrea Faidutti, è proprio eccellente in “Va pensiero”, in una definizione che evidenzia l'effettivo accorato dramma corale degli Ebrei, senza però esagerare nelle dinamiche e che inevitabilmente come tradizione viene bissato ed osannato.
Ugualmente valido anche nel concertato finale di “Immenso Jeovha” d'altrettanta bellezza ed intensità drammatica.

Nabucco di Giuseppe Verdi al Teatro Massimo di Palermo - Stagione Lirica 2010
 
La pregevole direzione orchestrale del ben tornato Maestro Paolo Arrivabeni, di ottima esperienza nei maggiori teatri internazionali, non delude le aspettative.
Sin dall'ouverture, cui Verdi non ha dedicato molto tempo e che soprattutto in questa partitura è propedeutica a tutto il resto dell'opera, si nota la maestosità iniziale, la raffinatezza degli archi e dei fiati unitamente alla timbrica massiccia degli ottoni.
La lettura del concertatore è molto precisa, per i tempi sostenuti quanto dovuto e per i colori intensi, ma altrettanto raffinata nelle pagine più liriche, con un perfetto equilibrio sonoro tra il completo organico orchestrale e le voci (cui concede ampio respiro), tutte di esteso volume e che si distinguono nonostante talune posizioni arretrate sul palcoscenico.

Roberto Frontali, affermato interprete verdiano nel pieno di un'intensa carriera, in questa occasione non è un Nabucco particolarmente imponente. E' piuttosto un padre fiero, orgoglioso che esterna maggiormente la sua complessa personalità. Dotato di piena, sostenuta e sicura estensione baritonale è tuttavia convincente, dal minaccioso “Tremin gli insani ” all'ira di “Chi mi toglie il regio scettro”.
Quando infine si converte al “Dio di Giuda”, la sua interpretazione manifesta tutto l'accorato afflato con un chiaro e perfetto fraseggio da grande interprete.

Avvincente e completo pure il sofferto contrasto con la figlia-schiava Abigaille di Amarilli Nizza, frequente ospite del Massimo insieme al suddetto baritono romano.
Dispiace di dover tornare su talune particolarità vocali di questo esperto soprano lirico - spinto che, dotato di un volume vocale naturalmente potente, non dovrebbe aver necessità di forzare spesso gli acuti a discapito della brillantezza delle note e dell'espressione, oltre che per una dizione altrettanto poco intellegibile. Nel ruolo di Abigaielle è certamente più a suo agio per lo stile un po' autorevole, ma in certi passaggi di alcune arie come quella dell'inizio del secondo atto e soprattutto al termine “Su me, morente, esanime” sarebbe preferibile un'emissione più morbida.

Morbida, pastosa e ricca di armonici in tutta l'estensione di basso è invece la vocalità di Roberto Scandiuzzi, raffinato artista e stimato interprete internazionale nei maggiori ruoli del registro di basso, dallo stile di canto nel contempo nobile ed imponente.
Anche nella seconda recita con i cantanti del primo cast, cui si riferisce questo articolo, emergono però talune difficoltà sulla tenuta degli acuti, a svantaggio del colore e della precisione delle note, forse a causa di una temporanea non piena forma dell'artista che sicuramente sarà superata.
Il suo Zaccaria tuttavia non delude, è preciso, attento e risolve con sicurezza il ruolo nei cantabili senza alcuna forzatura, sin dalla nota cavatina “D'Egitto là sui lidi” del primo atto alla bella profezia "Del futuro nel buio discerno" al termine del terzo e sin quando scende con padronanza nelle note più gravi e lunghe del suo registro, sorretto da un magnifico e ricco tessuto orchestrale.

Attesa l'interpretazione del mezzosoprano Anita Rachvelishvili, applauditissima Carmen alla Scala nello scorso mese di dicembre, nelle spoglie di Fenena, figlia di Nabucco.
In effetti la giovane artista georgiana si distingue per il colore vocale pieno e pastoso e per la tecnica sicura, in una bella estensione naturale anche nelle note più acute. Difatti Fenena è spesso eseguita anche da soprani lirico – spinti.

Nabucco di Giuseppe Verdi al Teatro Massimo di Palermo - Stagione Lirica 2010

Bello e di gran trasporto il terzetto del primo atto “Io t'amava”con Abigaille ed il conteso Ismaele che, nonostante le poche pagine dedicategli dall'autore, il giovane tenore brasiliano Thiago Arancam risolve dignitosamente con una bellezza di timbro dalle inflessioni baritonali, di accenti e per la padronanza nelle note più acute e potenti, sebbene debba ovviamente migliore lo stile di canto.

Altrettanto dignitosi i comprimari nei rispettivi ruoli - il basso Manrico Signorini, Gran sacerdote di Belo – il tenore Alberto Profeta, Abdallo – il soprano Francesca Micarelli, Anna che in questo primo capolavoro verdiano diventano interpreti principali insieme a tutti gli altri, coro compreso, in un'edizione molto acclamata dal pubblico del Massimo, anche a scena aperta.
Peccato che in questa seconda recita dalla metà del secondo atto, si sia guastato il sistema di proiezione del libretto cui ci si è abituati tutti, anche coloro che conoscono bene le opere.
Gigi Scalici

 
 
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