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» Recensione La Bohème di Puccini al Teatro Massimo di Palermo

Gigi Scalici, 13/03/2010

In breve:
Palermo, 28/02/2010 - Non soddisfa appieno la ripresa dopo cinque anni di La Bohème al Teatro Massimo, con l'allestimento proveniente dal Teatro Comunale di Bologna, la regia firmata da Lorenzo Mariani, scene e costumi di William Orlandi e la direzione musicale di Daniele Callegari.


E pensare che il vero successo di La Bohème è avvenuto proprio a Palermo nel 1896 e non in occasione della prima al Regio di Torino, nonostante la direzione di Toscanini.
La pregevole creatura di Giacomo Puccini, musicata su libretto di Giacosa ed Illica - tratto da Scenes de la vie de Bohème di Murgers - ha assolutamente superato l'omonima opera contemporanea composta da Leoncavallo, determinando definitivamente il litigio dei due amici musicisti per ovvii motivi concorrenziali.

Rappresentare un capolavoro così famoso nel mondo operistico è compito piuttosto arduo.
La Bohème è tra quelle eseguite maggiormente, anche in tv, i suoi motivi molto orecchiabili sono conosciuti a memoria, la storia è abbastanza scorrevole, i contrasti tra la giovane allegria e la infreddolita miseria e tra gli amori ed i tradimenti che però si risolvono, sono delineati con estrema chiarezza musicale e recitativa ed il finale è molto commovente.

Non si pretende certamente la qualità musicale di alcune incisioni discografiche più stimate (ad esempio, Freni, Pavarotti, Ghiaurov e Panerai diretti da Karajan), né un allestimento tradizionale che rispecchi fedelmente il libretto e cui siamo maggiormente abituati (a torto od a ragione?), ma è importante che pervenga al pubblico un quadro d'insieme equilibrato, sia visivamente sia musicalmente ed in particolare tra la fossa orchestrale ed i cantanti.

In quest'edizione - quasi come sempre - scena semifissa con un'imponente impalcatura di tipo edile in metallo con scalette di accesso, su una grande piattaforme girevole che ha consentito un rapido cambiamento tra i quattro quadri, con un solo intervallo in tutta la rappresentazione.

La famosa soffitta del primo e dell'ultimo quadro non era quindi sui comignoli di Parigi, bensì in un piano sottostante un soppalco dell'impalcatura transitato dai vari interpreti e Mimì non era la solita dirimpettaia, veniva invece dall'alto e nel terzo mancava la caratteristica atmosfera della barriera d'Enfer.

La Bohème di Giacomo Puccini al Teatro Massimo di Palermo - Stagione Lirica 2010

Questa invenzione registica è stata però molto funzionale nel secondo quadro - da Momus - rendendo molto dinamico lo svolgimento degli avvenimenti nella grande piazza, con un'ampia scorrevolezza di tutti i personaggi che notoriamente si avvicendavano nella moltitudine popolare, con i piacevoli costumi d'epoca di William Orlandi, ai piedi della grande insegna luminosa del locale.

Rincresce però che proprio alla fine di questo quadro, in cui la tessitura musicale è tanto intrecciata e complessa, sia emersa una confusione oltre misura tra orchestra e voci, conferendo allo spettacolo una connotazione prevalentemente operettistica, a discapito dei solisti e del coro, voci bianche comprese, tuttavia ben coordinati rispettivamente dai maestri Andrea Faidutti e Salvatore Punturo.

Buono il cast degli interpreti, quasi tutti ben affermati nell'ambito internazionale.
Marcello Giordani è un tenore siciliano in piena carriera, dal bel timbro lirico – spinto e di ottima estensione verso le note più acute, molto apprezzato nel suo vasto repertorio.
Rodolfo, sin dalla metà degli anni ottanta, ha retto con sicurezza il famoso intenso Do di petto della “Speranza” in “Che gelida manina“ del primo atto, ma non è sembrato particolarmente coinvolto nell'emozione dello scrittore innamorato a primo acchito di Mimì, pur conferendo al personaggio corretta credibilità nel contesto della recita, sempre limitatamente alle condizioni registiche.

Più giovane il soprano di origine greche Alexia Voulgaridou, sulle scene liriche dagli anni novanta, anche lei affermata interprete dei maggiori ruoli sopranili lirico-spinti ed esperta Mimì. Con un bel timbro pieno ha risolto “Si, mi chiamano Mimì” con sicurezza, ma pur essendo pienamente dentro il personaggio non ha ricevuto, al termine della famosissima aria, così come il suo Rodolfo, quell'ampio consenso delle grandi occasioni.

Piuttosto, entrambi sono stati eccellenti interpreti nei recitativi del terzo quadro, alla barriera d'Enfer e tanto commoventi nella rassegnazione della scena d'addio “Donde lieta uscì al tuo grido d'amore” di Mimì e “Ci lasceremo alla stagion dei fiori”.
Il terzo quadro in effetti, pur riconoscendo la bellezza delle arie del primo e la drammaticità dell'ultimo, in questo storico capolavoro pucciniano si distingue per la raffinatezza e per la chiarezza con cui emergono le differenze con la seconda coppia di amanti Musetta-Marcello, nella “bella età d'inganni e di utopie”. Nella prima ci si ama in scena (lui il poeta, lei la poesia) e si litiga fuori, nella seconda (lei vipera, lui rospo) si litiga invece quasi sempre.

La Musetta della giovane Annamaria dell'Oste, soprano lirico d'agilità - buona regina della notte nel Flauto magico mozartiano - probabilmente non proprio a suo agio in questo ruolo, è stata sin troppo civettuola nella sua disinvoltura e dal timbro aspro nel valzerino di “Quando men vò”, simbolicamente accompagnata al piano da Schaunard.

Per l'altrettanto giovane artista siciliano Vincenzo Taormina, proveniente dall'accademia di Carlo Bergonzi, si sono confermate le qualità di buon baritono un po' chiaro ma intenso, nella parte del pittore Marcello cui Puccini non ha previsto alcuna aria, ma che riveste un ruolo importante nell'equilibrio del melodramma. Il suo Marcello è stato molto corretto ed ha riscosso ampi consensi, indipendentemente dall'aspetto campanilistico.

Anche l'esperto Fabio Previati, baritono veneziano dal bel colore compatto e più sicuro verso il registro grave - ricordo un ottimo papà Germont in Traviata, al Teatro Giuseppe di Stefano di Trapani di qualche anno fa - che alterna spesso i ruoli di Marcello e di Schaunard, è stato più che dignitoso scenicamente e vocalmente nell'ironia dell'esemplare ruolo del musicista, sempre in vistoso abito da concerto per tutta l'opera.

Del giovane basso sudcoreano In-sung Sim, odierno interprete Rossiniano, Mozartiano e Verdiano, nelle vesti del filosofo Colline, si è apprezzata altresì la correttezza musicale e la chiarezza di dizione nella famosa “Vecchia zimarra” (inserita dall'autore insieme a “Che gelida manina” di Rodolfo al termine della stesura dell'opera).

Completava la rosa del cast, da grande attore il veterano basso-baritono cremonese Orazio Mori, al termine della carriera. Benoit nel primo atto ed Alcindoro nel secondo, ha contribuito a rendere molto divertenti le due rispettive scene insieme ai bohèmien, soprattutto nella nota farsa del pagamento dell'affitto del primo atto.

La Bohème di Giacomo Puccini al Teatro Massimo di Palermo - Stagione Lirica 2010
Come si accennava in premessa se nel contesto della rappresentazione ci fosse stato un maggiore equilibrio generale, il risultato sarebbe stato superiore. Non sono mancati infatti alcuni momenti di alta drammaticità ed altri veramente piacevoli.

Anche nella compagine orchestrale al gran completo d'organico e diretta da Daniele Callegari, noto musicista internazionale sin dalla fine degli anni ottanta in un vasto repertorio lirico-sinfonico, è stata riscontrata una certa discontinuità, sia nell'equilibrio dinamico con il palcoscenico sia nello stacco dei tempi che in alcune misure e soprattutto nel finale sarebbero stati preferiti più larghi. Sono state comunque apprezzate talune raffinatezze nella strumentazione solistica, come nel primo e nel terzo atto.

Il risultato finale, dalla risposta complessiva del pubblico non è stato pertanto quello dei grandi avvenimenti. Meglio nelle repliche come in questa con il primo cast cui si fa riferimento, ma in occasione della prima l'apprezzamento è stato molto tiepido.
Gigi Scalici

 
 
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