Attila è il titolo allestito sul palcoscenico del Teatro di Busseto, unica esecuzione del Festival Verdi 2010 svolta in versione integrale, senza tagli e con tutti i da capo previsti dalla partitura.
La nuova produzione del dramma lirico del giovane Maestro delle Roncole è affidata a Pierfrancesco Maestrini, che torna a Busseto dopo un fortunato Il trovatore messo in scena nel 2005. Il regista fiorentino si avvale anche questa volta di video proiezioni, affidate all'esperto Alfredo Troisi, in grado di raccontare la storia del Re degli Unni unitamente a quanto accade sul palcoscenico, come se fosse un film animato da personaggi veri e reali. Le scene, ma soprattutto i bellissimi costumi di Carlo Savi contribuiscono alla buona resa dello spettacolo, in una suggestione che richiama il cinema tridimensionale, avvalorato da un trucco tanto efficace quanto meraviglioso e dalle affascinanti luci di Bruno Ciulli.
La direzione precisa, puntuale e ricca di colori del giovanissimo Andrea Battistoni alla guida dell'Orchestra del Teatro Regio di Parma, mantiene costante il vigore del primo Verdi e risulta pienamente adeguata nell'accompagnamento dei solisti, evidenziando un contatto diretto e amalgamato tra la buca ed il palcoscenico.
Giovanni Battista Parodi è debuttante nei panni di Attila e pur non possedendo ancora le finezze e gli accenti propri di uno specialista del ruolo, sa disegnare un personaggio autorevole, mostrando spiccate doti drammatiche. La linea di canto è morbida ed omogenea, la vocalità è cantabile ed elegante, i numerosi acuti sono ben sostenuti e la tecnica appare solida e corretta. La gran scena e concertato "Spiriti, fermate" è sinceramente avvincente ed emozionante e il giovane basso genovese sa dosare correttamente l'emissione del suono, non permettendo che l'orchestra lo copra in alcun punto. Sarà indubbiamente un gran piacere riascoltarlo in futuro nel medesimo ruolo, di cui certamente si denoteranno la crescita e la maturazione.
Susanna Branchini, alle prese con la difficile parte di Odabella, mostra una presenza scenica importante, ed è imponente e autoritaria nel personaggio, ma la voce sembra essere poco misurata. La bellissima cavatina d'ingresso "Santo di patria" è pressoché cantata in forte, in alcuni punti quasi sfiorando l'urlo e in apparenza in difficoltà tanto negli acuti estremi quanto nelle note basse. Il colore ed il timbro del giovane soprano sono belli, ma la tecnica necessita di perfezionamento, soprattutto nell'intonazione e nel controllo dei fiati. Tali problematiche si denotano nelle parti più liriche, particolarmente durante la seconda aria "Liberamente or piangi… Oh! Nel fuggente nuvolo" dove la linea di canto sembra perdere di compattezza, i piani e i pianissimi sono poco presenti e raramente sostenuti e l'intonazione non è delle migliori. Pregi e difetti dell'artista si trascinano poi per tutta la durata dell'opera.
Nella recita di mercoledì 27 ottobre la protagonista femminile è Maria Agresta, che dimostra subito di possedere una vocalità adatta all'arduo ruolo drammatico, con un registro centrale pieno e corposo, ben controllato nel passaggio all'acuto e che non si svuota scendendo verso quello grave. Il giovane soprano manifesta palesemente di conoscere la tecnica, pur avendo ancora bisogno di taluni miglioramenti, soprattutto negli acuti estremi, che talvolta non sono perfettamente puliti, e sui pianissimi, in apparenza non sempre del tutto controllati.
Roberto De Biasio è un Foresto molto musicale, sempre morbido, con una vocalità raffinata, dove l'uso della parola cantata è chiaramente messo in primo piano. Il tenore di origine siciliana sa mettere i giusti accenti senza spingere in alcun momento, passando dai centri agli acuti con omogeneità e scioltezza, dosando sapientemente piani e forti. La romanza di terzo atto "Che non avrebbe il misero" è eseguita a regola d'arte, carica di commozione ed impreziosita dall'uso di mezze voci, a ulteriore dimostrazione della professionalità del musicista, di scuola belcantista.
Sebastian Catana mostra fin da subito la maniera di cantare dei baritoni di una volta, come se appartenesse alla vecchia scuola italiana, prodigandosi in frasi e passaggi dotati di bellezza ed eleganza emozionanti. Il ruolo di Ezio ha una tessitura quasi tenorile, ma non mette in difficoltà l'artista rumeno, che gode di acuti ben saldi e sostenuti. La voce è armonica e pastosa, la tecnica è importante e robusta, mentre l'interpretazione è purtroppo carente, apparendo poco intensa e sentita.
Completano il cast Cristiano Cremonini, un Uldino efficace, musicale e dotato di buona intonazione, e Ziyan Atfeh, un Leone stentoreo e imponente nella voce e sulla scena.
Martino Faggiani è alla guida di un gruppo che non è composto dagli elementi più stabili del Coro del Teatro Regio di Parma, ma riesce ad amalgamare i professionisti del canto in un vero coro verdiano, soprattutto nella compagine maschile, che eccelle in "Qual notte!... L'alito del mattin".
Lunghi, scroscianti e meritati applausi per tutti gli interpreti.
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