In occasione delle repliche lucchesi del suo nuovo allestimento di
Rigoletto abbiamo incontrato Ivan Stefanutti: il regista, scenografo
e costumista ci parla di questa produzione, soffermandosi sulla poetica che di
volta in volta muove i suoi lavori e sul suo rapporto con i cantanti.
1. Dopo quelli del 1995 e del 2005, questo è il suo terzo allestimento
dedicato a Rigoletto: da dove viene il particolare interesse verso quest'opera?
Non è solo un interesse mio, è capitato che mi sia stato nuovamente
proposto Rigoletto e a me ha fatto molto piacere scavare ancora in
questa vicenda torbida, in cui ogni volta emerge qualcosa di particolare. Si
tratta dell'ennesima occasione per approfondire alcuni aspetti di quest'opera
molto complessa: più ci lavoro, più mi sembra attuale e meno riesco a vederne il
fondo. L'ultima volta mi ero concentrato sull'aspetto voyeuristico del testo, in
cui si parla continuamente di cosa non si può vedere o toccare, ma in realtà
sempre si incita a farlo. In questa versione emerge maggiormente l'aspetto
notturno, oscuro dei personaggi e dei rapporti: non c'è una persona “buona”, se
non una ed estremamente sfortunata.
2. C'è qualcosa di quest'opera che ancora le sembra di non aver centrato,
che ancora le sfugge?
Il rapporto tra padre e figlia è certamente molto complesso, lo è in
generale: continuare, negli anni, a lavorare su questo aspetto dà la possibilità
di addentrarsi nella vicenda in modo sempre più viscerale, così come l'opera
stessa richiede.
3. Nelle note di regia di Rigoletto lei parla di una cornice ingombrante
che ha come funzione principale quella di distrarre dalla realtà delle cose. Può
spiegarci meglio di cosa si tratta?
Una stessa vicenda, se raccontata in una cornice bella e sontuosa o in
una situazione degradata e derelitta, assume immediatamente fisionomie diverse.
Su questo dobbiamo molto riflettere, soprattutto in questo periodo in cui
viviamo il mito dell'immagine. Gli eventi nefasti che accadano all'interno di un
palazzo lussuoso non sono giustificabili con la noia dei personaggi che vi
abitano: la violenza e la negatività possono essere precisamente motivate, ma
mai giustificabili. Nello spazio da me concepito, estremamente simbolico, gli
aspetti più negativi vengono vestiti in maniera lussuosa. Pur potendo avere in
casa propria tutto ciò che desidera, il Duca va a cercare fuori quello che lì
non riesce a trovare e questo non è altro che lo specchio di ciò che accade
oggi: persone potenti hanno la possibilità di accontentare le proprie curiosità
e di spingersi oltre in situazioni estreme in cui, alla fine, si trovano
volontariamente nella situazione opposta, da predatori a prede. Ho deciso di non
spostare la vicenda dal periodo in cui è ambientata proprio perché certe
questioni sono sempre esistite: portandola troppo vicino a noi inizieremmo a
cercare similitudini con aspetti che in realtà non interessano; preferisco
piuttosto puntare sull'universalità. In questo contesto, la “mia” Maddalena è
particolare: la coppia di fratello e sorella in questa notte è molto moderna,
c'è una complicità che va oltre la complicità illegale.
4. Quali suggestioni ha fornito agli interpreti per esprimere questo senso
di crudezza e corruzione, per mostrare ciò che si nasconde al di là di questa
cornice?
Ho fatto sempre loro esempi concreti, cercando di partire dalla
psicologia del personaggio, da ciò che sente e vive; questo è un lavoro
interessante, innanzitutto per i cantanti, in particolare quando c'è tempo a
sufficienza da dedicare.
5. Qual è il suo rapporto con i cantanti?
Con alcuni ho un ottimo rapporto, con un altri più strettamente
professionale; in ogni caso, comunque, sempre molto familiare. Mi piace lavorare
con loro: laddove alcuni hanno innate qualità finora non emerse, si creano
occasioni per far loro affrontare aspetti con cui non si sono mai misurati, per
perdere tutti quei pudori spesso derivati semplicemente dalla “non abitudine”.
6. C'è un terreno su cui ancora si scontra con loro, sul quale
difficilmente riuscite a trovare un accordo?
No, la sintonia si trova abbastanza bene, occorre solo attendere il
tempo giusto per fare questo “viaggio”; a volte si arriva in momenti diversi
alla stessa meta. È necessario sviluppare, sedimentare, pensarci, dormirci
sopra, smettere di pensarci per un po'. Cerco di “approfittare” delle loro
caratteristiche, sia di quelle strettamente inerenti alla professione sia di
quelle umane: tenerezze e durezze che sono parte dell'artista, ma anche parte
della sua psicologia. È un lavoro molto bello perché in poco tempo devi entrare
subito in confidenza, ponendo le basi per un'intimità che dovrà crescere e
svilupparsi sul palco. Tengo d'occhio la loro naturalezza: a volte si
distraggono, mollano un po' i freni, e proprio in quel momento esce “la cosa
giusta”, ciò che si esprime naturalmente e che quindi va fissato; è necessario
compiere un grande lavoro di osservazione, stare molto attenti. Quella del
cantante è una professione pesante, occorre metterlo sempre in condizione di
sentirsi protetto. Comunque anche gli attori vanno trattati allo stesso modo:
non amo lavorare sulla tensione, non è il mio metodo; voglio far sì che le
persone siano a proprio agio anche quando provare è emotivamente più difficile o
rischioso. Non ci deve essere paura. Come regista ricerco fluidità, energia,
empatia con cantanti, attori, con tutto lo staff. È importante che tutti si
sentano benvoluti; del resto sta tanto a me quanto a loro continuare a remare
nella stessa direzione.
7. Ancora nelle note di regia afferma che nemmeno Rigoletto è innocente,
in quanto partecipa alla “decorazione della grande cornice”: in che modo Ivan
Stefanutti partecipa attivamente alla “decorazione della cornice dell'opera
lirica” così come attualmente viene concepita e da cosa invece vorrebbe
dissociarsi?
Con i miei spettacoli vorrei eliminare il malinteso secondo il quale
l'opera è noiosa, contribuire a far vedere che la grande cornice che è attorno
all'opera lirica abbraccia qualcosa di molto bello e molto moderno. Questo però
non vuol dire, e da qui mi voglio distaccare, mettere la gente in blue jeans,
fare cose contro ciò che si sta cantando o nascondersi in una scena che sembra
una cucina economica solamente perché le linee dritte sono moderne. Questo è un
grande malinteso. Il cinema ci racconta che la modernità è un modo di
esprimersi, non semplicemente un codice di elementi. Preferisco rapportarmi con
la realtà della recitazione e cercare di rendere i personaggi credibili – e
questa mi sembra una modernità importante - piuttosto che astrarli in
un'operazione ancora più cervellotica e dannosa. Chi si siede in platea non deve
trovarsi a decodificare quello che vede perché assolutamente astruso. Ciò non
significa che io non faccia operazioni particolari: Aida, ad esempio, avvicina
un certo tipo di pubblico senza però offendere la lirica.
8. Infatti i suoi allestimenti sono sempre più o meno destabilizzanti: si
tratti, appunto, dell'ambientazione galattica di Aida o dell'esplicitazione
della macchina teatrale in Adriana Lecouvreur. Alla fine però il messaggio
coglie nel segno…
Sì, perché ciò che più mi interessa è togliere le abitudini: si arriva a
non fare più caso a ciò che si presenta sempre allo stesso modo, si vive
passivamente il ruolo di spettatore. Occorre catturare l'attenzione e
coinvolgere in un tuo particolare e personale modo di narrare: se ci riesci,
alla fine capirai di aver raccontato una storia già conosciuta, ma con
un'immagine inedita.
9. Qual è l'opera lirica che non ha ancora incontrato nel suo percorso e
con cui le piacerebbe confrontarsi?
Ce ne sono tante e nemmeno tutte italiane, molte russe, ma dato che io
lavoro parecchio anche sul testo dovrei conoscere la lingua. Spero che mi
offrano sempre più anche titoli che non ho ancora esplorato. Avere la
possibilità di andare in terre sconosciute è un'avventura nuova che mi diverte e
mi affascina: mi piace avere un nuovo staff, una nuova squadra con cui andare
verso una nuova giungla, dove troviamo una tribù di cantanti con cui
conquistare, con simpatia, una nuova America.
10. Rigoletto è tra le opere più conosciute e più rappresentate: perché
vedere anche questo nuovo allestimento?
Perché lo spettacolo è bello, affascinante, con momenti molto duri che
accompagnano adeguatamente una musica e un testo straordinari. Questo libretto è
scritto con particolare attenzione e modernità. Cerchiamo di liberarci dalla
consuetudine, senza dare per scontato ciò che vediamo: se analizziamo quello che
viene detto e fatto in Rigoletto, ci renderemo conto che si tratta di cose
terribili da guardare ancora con sconcerto, come se fosse la prima volta.
Silvia Cosentino |