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» Recensione dell'Opera La fanciulla del West di Giacomo Puccini al Teatro Massimo di Palermo

Gigi Scalici, 24/12/2010

In breve:
Palermo, 12/12/2010 - Il Teatro Massimo chiude dignitosamente la stagione del 2010 con "La fanciulla dal viso d'angelo" a cento anni esatti dalla storica prima del Metropolitan di New York, diretta dal grande Arturo Toscanini.


In occasione di questa importante ricorrenza è stato organizzato presso il Teatro Massimo, un convegno internazionale il giorno della prima del 10 dicembre ed il sabato successivo, con la presenza di autorevoli esperti.

Un'opera esemplare del maturo cinquantaduenne compositore lucchese, meno rappresentata di quelle più famose e che richiederebbe una maggiore attenzione sia da parte delle organizzazioni teatrali, sia da parte del pubblico, che dinanzi ad una struttura musicale particolare come il contenuto del libretto, non l'apprezza compiutamente.
Oggetto anche di tante critiche, strutturalmente è infatti ben diversa dalle altre, non segue il consueto schema melodioso tipicamente pucciniano con vere e proprie romanze, ma cura particolarmente il fraseggio melodico nel contesto della straordinaria orchestrazione e rappresenta un netto passo avanti per il rinnovamento dell'opera,  con un puro verismo musicale cui Giacomo Puccini si era affacciato con Tosca ed Il Tabarro.

Pregevole la direzione della sicura bacchetta dell'esperto direttore concertatore Bruno Bartoletti - in questa riedizione nel capoluogo siciliano dopo quasi vent'anni - che con precisi e brevi gesti ha dato un' attenta lettura alla partitura armonicamente raffinata, con ottima resa dell'orchestra, sia sul piano sinfonico, sia su quello dei colori più intensi e dei tempi più stretti, con ricche dissonanze ed ampie varietà ritmiche particolarmente per le percussioni.
L'orchestra trasporta e coinvolge tutti gli interpreti, non solo quelli principali, bensì anche il coro maschile ed i numerosi comprimari in un insieme musicale di grande compattezza, così come voleva il compositore sin dal primo atto di questa insolita opera-western, in cui non mancano occasioni di gran coinvolgimento emotivo.

Il nuovo allestimento, con scene di Maurizio Balò e costumi di Gabriel Berry, che per la regia porta la firma di Lorenzo Mariani, è stato realizzato in coproduzione con l'opera di San Francisco e l'Opéra Royal de Wallonie di Liegi ed è piuttosto fedele al libretto, con scene e costumi piuttosto attinenti alla tradizione e con delle innovazioni dinamiche che ne evitano l'effetto “naftalina”.
In tutti i tre atti prevale un'ampia catena rocciosa sullo sfondo del palcoscenico, con colori cangianti ed al centro un pavimento sopraelevato che si riduce all'indispensabile nel secondo atto, per rappresentare in piccolo ma con tutti gli arredi la casa di Minnie in mezzo alla bufera di neve.
Caratteristica la chiusura in penombra dell'ultimo quadro con il calesse trainato dal cavallo, con cui Minnie e Dick Johnson  si allontanano liberi con “Addio mia dolce terra ” attraverso un varco tra le rocce montuose.

Nel ruolo del titolo - più che appropriata Minnie per interpretazione e bellezza, nonché per bravura musicale e perfetta dizione - la giovane soprano statunitense Meagan Miller poco nota in Italia, ma che si cimenta nel repertorio europeo sin dal precedente decennio, con particolari successi ottenuti lo scorso anno.
L'artista possiede una buona linea di canto, con un bel timbro esteso di lirico spinto raffinato e ricco di armonici. Nella zona grave ed in quella centrale non possiede un gran volume, ma giunge con  sicurezza ed intensità ai sovra acuti della partitura - do diesis compreso - senza forzare e soprattutto senza “urlare” in questo complesso e contraddittorio personaggio.
Amata, rispettata e desiderata da tutti i minatori e contesa tra il bandito-gentiluomo e l'ostinato sceriffo–biscazziere, risolve difatti il ruolo con misurata autorevolezza nei confronti dei primi,  abbandonandosi  all'amato Dick Johnson e respingendo con altrettanta fermezza le avances di Jack Rance.  Appassionante in "Laggiu' nel Soledad", in "Io non sono che una povera fanciulla" ed al termine della partita a poker.

Salvatore Licitra, artista in carriera dall'ottima esperienza nei maggiori teatri internazionali, dalla buona linea di canto e dal bel timbro di tenore lirico spinto con inflessioni baritonali, mette a fuoco il ruolo di Dick Johnson, ma purtroppo nonostante la corretta e brillante emissione di voce nel registro centrale, quando giunge nella zona acuta evidenzia talvolta problemi di ordine tecnico a discapito dell'intonazione e del colore, pur mantenendo la notevole intensità vocale. 
Nel corso del primo atto, così come alla prima rappresentazione di giorno dieci, ha manifestato questa problematica, tuttavia successivamente nel duetto del secondo con "Or son sei mesi" e nell'ultimo con "Ch'ella mi creda libero e lontano" ha confermato le sue indubbie qualità.
Anche nella recente ottima edizione fiorentina de "La forza del destino" ha avuto le stesse difficoltà,   speriamo però che si tratti soltanto di una fase transitoria e che comunque risolva questi problemi tecnici,  poiché potrebbe essere un ottimo erede dei grandi colleghi che l'hanno preceduto in questo repertorio.

Più sicuro tecnicamente invece Roberto Frontali (a giugno insieme allo stesso tenore nella coproduzione dell'Opera di San Francisco e nella suddetta opera verdiana in cui aveva problemi di salute), ottimo ed apprezzato esperto baritono romano, noto al pubblico del Massimo per le sue numerose interpretazioni, sin troppo dentro il ruolo di Jack Rance  impietoso ed irremovibile, ma che accetta sportivamente suo malgrado la vittoria di Minnie che bara a sua insaputa nella partita a poker del secondo atto, in cui si giocano la libertà di Johnson-Ramerrez.  Buona la sua performance di "Minnie, dalla mia casa son partito"  forse un po' troppo gutturale piuttosto che in maschera.

Come si diceva prima i comprimari ed il coro in questo capolavoro sono molto importanti: non soltanto di affiancamento o di sostegno, bensì da veri protagonisti, come l'eccellente coro di voci maschili concertato e diretto da Andrea Faidutti e tutti i meritevoli tenori, baritoni e bassi tra cui si sono distinti Bruno Lazzaretti-Nich, Giovanni Furlanetto-Ashby  e Simone Piazzola-Sonora, oltre la seconda voce femminile di Maria José Trullu – Wowkle.

Peccato che la partitura non lasci spazio per gli applausi a scena aperta, ma ci sono stati ugualmente calorosi consensi per i solisti al termine di ogni atto, ed al termine dello spettacolo ovazioni anche per il coro e l'anziano direttore d'orchestra.

 
 
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