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Un intreccio di capolavori al Maggio Musicale Fiorentino

Silvia Cosentino, 07/12/2011

In breve:
Firenze, dal 25 novembre al 6 dicembre - Fortunati allestimenti de Il Barbiere di Siviglia di Gioacchino Rossini e de La Bohème di Giacomo Puccini offerti dal Maggio Musicale Fiorentino.


In attesa degli eventi che accompagneranno l'inaugurazione del Nuovo Teatro dell'Opera, il Maggio Musicale Fiorentino ha offerto, nei giorni scorsi, un interessantissimo tuffo nei grandi capolavori: dal 25 novembre al 6 dicembre fortunati allestimenti de Il Barbiere di Siviglia (1994, di José Carlos Plaza) e de La Bohème (2008, di Mario Pontiggia) hanno consentito di riflettere sulla consistente evoluzione che il melodramma ha vissuto negli ottant'anni che separano questi due fondamentali capisaldi della lirica.

Si inizia con quell'elegante tripudio di genio e raffinatezza dell'Inutile Precauzione, titolo originale della commedia di Beaumarchais da cui Rossini trae il suo lavoro, non prima di essersi assicurato di affrancarsi dalla precedente trasposizione di Paisiello. Perché la storia che ruota intorno alle astuzie del rinomato Figaro sono per il pesarese occasione (come già era accaduto con L'italiana in Algeri) di uscire dagli schermi musicali consolidati e dagli stereotipi che animavano i palcoscenici. Pur sempre con una "ridotta" orchestra e con gli ancora saldi riferimenti di Recitativi, Cavatine, Duetti..., il compositore concepisce, in tre settimane, una partitura di memorabile bellezza e perfezione, in cui frizzi e lazzi clownistici si fondono con lacerti di psicologia umana.

L'allestimento diretto da José Carlos Plaza con scene e costumi di Sigfrido Martìn-Begué fa del Barbiere una favola colorata, ambientata in uno spazio verde (che un po' ricorda il giardino della Regina di Cuori di Carroll nella trasposizione disneyana) in cui pannelli a scorrimento orizzontale e verticale vanno a creare i vari spazi. Le linee sono semplificate e i colori accesi come nei teatrini di marionette, da cui sembrano provenire anche costumi e trucco; lo stesso Figaro arriva in sella a una curiosa bicicletta, tutt'uno con un fondale che cambia a ogni pedalata. In sintonia con questo, i movimenti dei personaggi sono ampi e caricaturali, nell'esaltazione di quanto di buffo vi è in questo melodramma.

Tra gli interpreti, il più convincente è di certo il Don Bartolo di Bruno de Simone (già divertente Don Pasquale donizettiano al Maggio); Vito Priante, familiare con il ruolo di Figaro, è ben centrato in quanto a mimica e interpretazione, ma ancora non del tutto all'altezza della complessità vocale che questo personaggio richiede. Valide le performance di Antonino Siragusa (il Conte d'Almaviva) e di Laura Polverelli (Rosina), seppur entrambi tradiscano una certa timidezza scenica che non li rende del tutto disinvolti.

Da questo gioiello ottocentesco si vola verso un capolavoro di modernità, verso una pagina musicale perfetta e completa, che annuncia tutte le inquietudini novecentesche. La Bohème pucciniana, tanto tormentata nei due lunghi anni di composizione: racconto corale dei piccoli-grandi sentimenti che muovono l'essere umano, racconto non più assoggettato ai già citati schemi musicali, incastrato nei recitativi, ma asservito a esigenze psicologiche che trovano la miglior espressione nella narrazione orchestrale. Ecco, infatti, ampliarsi la compagine, subentrare molti nuovi strumenti che, dalle imponenti melodie alle lievi sfumature, esprimono anche quello in cui, talvolta, la parola può essere limitata.

Il felice e già consolidato sodalizio tra la regia di Mario Pontiggia e le scene e costumi di Francesco Zito offrono una Bohème particolarmente romantica e suggestiva: una grigia soffitta con ampie vetrate, un'elegante Parigi liberty e una struggente, desolata Barriera d'Enfer (resa lunare dalle luci di Gianni Paolo Mirenda). Grandiosa la realizzazione del secondo atto, in cui coro e figuranti, grandi e piccini gestiscono perfettamente lo spazio esaltando i movimenti della partitura.

Deliziosa l'esibizione dei Ragazzi Cantori di Firenze, diretti da Marisol Carballo, precisi in canto e mimica. Complessivamente più incerta la performance degli interpreti maschili, non del tutto disinvolti nelle scene d'insieme di primo e quarto atto e spesso in difficoltà nel sostenere i volumi che l'esibizione richiederebbe: il più convincente risulta essere Devid Cecconi, nei panni di Marcello. Buona la prova delle due donne, la Mimì di Yolanda Auyanet e la Musetta di Rocio Igancio.

Ci piace fare un discorso a parte per l'Orchestra del Maggio, come sempre impeccabile, sia nella direzione di Antonio Pirolli - che particolare attenzione pone all'esaltazione dei colori del Barbiere - sia in quella di Carlo Montanaro, impegnato nell'individuazione di tutta quella gamma di suoni che, in Puccini, evocano tanto stati d'animo quanto elementi naturali. La compagine fiorentina si rivela piacevolmente sempre all'altezza dei differenti compiti assegnati, regalando momenti che mai tradiscono le intenzioni musicali e poetiche dei compositori, siano essi ancora in qualche modo debitori della tradizione ottocentesca, siano protagonisti di una rivoluzione destinata a cambiare per sempre le sorti del melodramma.

(Il Barbiere di Siviglia e La Bohème, viste rispettivamente martedì 29 novembre e venerdì 2 dicembre 2011).

 
 
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