Sebbene non si tratti di un capolavoro ultra popolare come quelli italiani che riempiono in ogni ordine di posto i teatri e che non contenga arie soliste tipicamente melodiche, bensì prevalentemente declamati e recitativi, il Boris Godunov – unica opera completa del giovane famoso compositore non professionista, molto criticato da Ciaikovski, vittima dell'alcolismo e morto a 42 anni - è sempre molto apprezzato dai più attenti appassionati, ancor più se viene atteso per ben un quarto di secolo e con una spettacolo di alto livello come questo del Teatro Massimo.
L'edizione del capoluogo siciliano è quella della seconda versione originale del 1872 - quindi senza le successive ulteriori revisioni dell'amico Rimskij-Korsakov che la resero più vicina ai canoni tradizionali del melodramma - con nove quadri distribuiti nel prologo e nei quattro atti e con soltanto due intervalli, uno dopo il secondo atto e l'altro tra il terzo e il quarto, con veloci cambi di scena a sipario aperto tra i quadri, accompagnati da lenti rintocchi di campane.
Come ben noto il sontuoso nuovo allestimento con regia, scene e costumi - dalla realizzazione prevalentemente tradizionale, con variazioni moderne più che adeguate al dramma tratto dal celebre poema di Puskin di chiara influenza shakespeariana - è del famoso argentino Hugo de Hana, in coproduzione del Massimo con il Teatro Municipal di Santiago del Cile.
Nella rappresentazione cui si riferisce questo articolo, il protagonista era il basso Alexei Tanovitski, facente parte del secondo cast e che aveva cantato la sera precedente, in sostituzione del famoso Ferruccio Furlanetto temporaneamente indisposto.
Tuttavia, ferma restando la maggior esperienza interpretativa del noto basso veneto nel ruolo del titolo che ha avuto un notevole successo alla prima recita, il giovane basso bielorusso in carriera è stato altrettanto molto apprezzato per la corretta interpretazione e per le qualità vocali in un'estensione ampia, salda e di possente intensità, grazie anche all'esperienza maturata nello stesso ruolo e favorito dalla dizione e dal tipico accento della propria lingua.
Il suo Boris è compiutamente regale, fiero, consapevole e vittima sin dall'incoronazione dell'atroce dramma continuamente vissuto per l'essersi macchiato del delitto del fanciullo Dimitrij, vero erede al trono e nel contempo coinvolgente padre nel dialogo con i due figli e nello struggente monologo prima della scena della morte dell'ultimo atto.
Il resto del consistente cast è più che compatto, non sembra che ci siano comprimari, sono diciassette voci di cui molte di madrelingua, distintesi nei nove quadri apparentemente indipendenti, tutte all'altezza dei rispettivi ruoli sia per qualità vocali, sia per capacità interpretative, che contribuiscono a questa complessa realizzazione: il tenore lirico spinto Mikhail Gubsky, falso Dimitrij - il mezzosoprano Anna Victorova, Marina MniÅ¡ek nobile polacca - il noto basso italiano Marco Spotti, Pimen frate giornalista - il basso Igor Golovatenko, gesuita Rangoni - il mezzosoprano Lucia Cirillo, Fedor figlio di Boris – il soprano lirico Anna Kraynikova, Ksenija figlia di Boris - il basso Fëdor Kuznetsov ed il tenore Pablo Ortiz Romero, gli ex monaci - i mezzosoprani Chiara Fracasso e Kremena Dilcheva, l'ostessa e la nutrice dei figli di Boris - e tutti gli altri colleghi che completano il cast, come Jan Vacik, Dmitry Voropaev, Alexey Yakimov, Gianfranco Giordano, Saverio Bambi, Alessandro Calamai, Carlo Di Cristofaro.
Grande rilievo riveste poi il popolo in questo popolare dramma russo, quasi ad assumerne il ruolo principale, sfruttato, oppresso e vittima dei potenti sia ortodossi, sia cattolici ed in quest'occasione il coro al gran completo ed integrato da quello radiofonico di Cracovia, ben concertato da Andrea Faidutti, insieme alle voci bianche dirette da Salvatore Punturo, ha recuperato talune imprecisioni verificatesi nella prima rappresentazione.
Nel prologo e nel quarto atto alquanto analoghi per la massa corale, l'esecuzione è stata particolarmente valida nell'unisono, nei recitativi e nei momenti in cui sono emersi alcuni elementi solistici della melodia popolare. Altrettanto valido il coro delle ragazze all'inizio del terzo atto polacco.
La compagine orchestrale al gran completo in tutte le sezioni, compresa la ritmica, sotto l'attenta direzione del Maestro di origine armene George Pehlivanian di importanza internazionale, è riuscita ad interpretare le pagine più complesse della partitura, appunto fuori dagli schemi tradizionali del melodramma, con particolare distinzione di alcuni strumenti solistici come le viole ed i violini del primo atto, i clarinetti, i fagotti, i corni ed i violoncelli del secondo atto, sino alla toccante melodia del clarinetto e delle viole nell'apertura dell'ultimo atto.
Un'opera che, come si diceva in premessa, avrebbe meritato una maggior presenza di pubblico, soprattutto per la complessità musicale e la straordinarietà, forse per questo non molto conosciuta. Tuttavia nell'insieme è stata applaudita con ampi consensi per tutti.
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