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Recensione dell'opera Maria Stuarda di Gaetano Donizetti dal Maggio Fiorentino

William Fratti, 04/07/2013

In breve:
Grande successo per la Maria Stuarda fiorentina in forma di concerto, anche se i numerosi posti vuoti lasciano intravedere un certo malcontento, oppure una qualche mancanza di interesse da parte del pubblico.


 
Bardari e Donizetti con quest'opera non sono stati propriamente maestri di drammaturgia in quanto a fatti, ma hanno saputo descrivere minuziosamente i sentimenti dei protagonisti attraverso parole toccanti e musica sublime. Pertanto, ingrediente necessario alla riuscita del melodramma è l'espressività del fraseggio, tanto nell'interpretazione vocale, quanto nell'esecuzione musicale, ma la serata in oggetto è purtroppo apparsa tiepidina e sinceramente un poco noiosa.
 
Alain Guingal conduce la brava Orchestra del Maggio Musicale Fiorentino in una performance precisa e pulita nel suono, ma abbastanza povera in colori e sfumature e da qui ne risulta un effetto complessivo abbastanza piatto, in certi punti addirittura poco amalgamato con le voci. La celebre scena dell'incontro tra Maria ed Elisabetta, invece di trasmettere pathos e sentimento, induce più facilmente alla sonnolenza.
 
Mariella Devia, regina del belcanto, si presenta in scena con la consueta perfezione: la voce è sempre bella, ogni nota è precisamente emessa ed appoggiata, la purezza del suono – pur non essendo cristallina come un tempo – è da manuale, l'attenzione alla parola è inconfutabile, i legati sono pressoché divini. La parte è inoltre eseguita con ricchezza di variazioni, pur non mostrando più la stessa elasticità di qualche anno fa. Davvero interessante è il fraseggio in “Morta al mondo, e morta al trono… Figlia impura di Bolena” sostenuto da accenti eccellenti. Peccato che l'indiscussa sovrana del belcanto non abbia mai alzato gli occhi dallo spartito, contribuendo così ad una serata davvero povera di emozioni.
 
Laura Polverelli è brava cantante, ma interprete migliore in altro tipo di repertorio. Nei panni della terribile Elisabetta manca dello spessore necessario alla resa drammatica del ruolo ed inoltre è talvolta coperta dal peso orchestrale.
 
Voce modesta, poco corposa e voluminosa, anche per il Leicester di Shalva Mukeria, che perlomeno si distingue positivamente per il pregio dei piani e delle mezze voci.
 
Davvero interessante il timbro di Gianluca Buratto nei panni di Talbot, anche se fraseggio e uso della parola quasi incomprensibili.
 

Adeguati il Cecil di Vittorio Prato, l'Anna di Diana Mian e il Coro diretto da Lorenzo Fratini. 

 
 
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