Secondo titolo nel cartellone della Stagione Lirica 2011-2012, I Lombardi alla prima crociata di Giuseppe Verdi è forse lo spettacolo meno riuscito del Teatro Municipale di Piacenza dell'ultimo decennio. L'pera è il primo allestimento in completa autonomia della neonata Fondazione Teatri di Piacenza, in collaborazione con gli Amici della Lirica, e non è certo un bel biglietto da visita. Sulla carta la rosa degli artisti impegnati nella produzione è di assoluto rilievo, ma il risultato raggiunto è chiaramente dispersivo, senza amalgama né coesione, poco coerente, come se ognuno dei singoli professionisti avesse lavorato per conto suo, senza alcuna guida né indirizzo. Pertanto viene da pensare che il regista Alessandro Bertolotti non sia stato in grado di imporre le proprie idee e i propri pensieri – probabilmente anche a causa della mancanza di risorse e di tempo – ottenendo un'accozzaglia di situazioni che nulla o poco centrano l'una con l'altra.
Certamente la scelta di un titolo così difficile, con dieci cambi di scena, non aiuta, ma ciò che percepisce lo spettatore è "vorrei ma non posso". Forse si sarebbe potuto pretendere e fare di meno per avere di più, ma è altrettanto vero che la mancanza di regia andava pur sopperita con qualcosa. In effetti i movimenti, la mimica e la gestualità differente in ognuno dei solisti, nonché i posizionamenti del coro "alla Nabucco" sono la prova tangibile dell'assenza del metteur en scène.
E così ci si trova anche a dover assistere al riciclaggio di una parte di scenografie e costumi, dove non sussiste alcun problema nel recupero, soprattutto in tempi di crisi, ma ciò che non è adeguato è dover riutilizzare quel che c'è e non quel che occorre.
L'impianto fisso scelto da Artemio Cabassi, col solo cambiamento di attrezzeria, luci e proiezioni per caratterizzare le diverse situazioni ambientali, è perfettamente funzionale (anche se per togliere e mettere qualche tavolo, alcune torciere e un po' di rocce, l'opera è interrotta spesso e per diversi fastidiosi minuti); peccato che i pilastri neri siano adorni di elementi decorativi e architettonici che nulla centrano col tempo delle crociate, ma che più si adatterebbero a Tosca o Adriana Lecouvreur. Gli accessori di scenografia e i tendaggi disegnati nei bozzetti sono ad alta suggestione, ma quelli presenti in scena non sono altrettanto piacevoli, talvolta addirittura ridicoli, come le quattro piccole stuoie srotolate sul pavimento nel finale di secondo atto, che nella grandezza del palcoscenico sembrano essere poco più che zerbini. I costumi realizzati per l'occasione sono davvero sorprendenti, soprattutto quelli dei personaggi musulmani, mentre alcuni degli abiti mutuati sono assolutamente fuori luogo, alcuni per stile altri per epoca differente, più probabili per il tardo medioevo che per l'inizio del millennio.
Le luci e le proiezioni di Paolo Panizza, se in alcuni quadri aiutano a riempire il vuoto e contribuiscono alla giusta suggestione e al fascino di certe scene, in altre sembrano appena abbozzate e sono aggiustate durante l'esecuzione come se la recita fosse invece una prova generale.
Le coreografie di Giuseppina Campolonghi non sono certamente delle sue migliori – decisamente tristi i movimenti delle mime-Madonne in primo atto e delle mime-Angeli in quarto – e le allieve dell'Accademia di Danza "Domenichino da Piacenza" sono poco coordinate; sbagliano addirittura il saluto in fase di applausi.
Lo scempio peggiore è quello del direttore Gioele Mugliardo, che parte molto lento e poi improvvisamente aumenta la velocità nella stretta del primo concertato, col risultato che in molti sono buttati fuori tempo. Lo stesso accade in numerosi altri punti dell'opera. Anche la precisione musicale e la purezza del suono dell'Orchestra Filarmonica Italiana non è delle migliori, ma un plauso va alla spalla Cesare Carretta per l'esecuzione del preludio del terzetto.
La compagnia di canto è assolutamente inadatta.
Stefanna Kybalova, nei panni di Giselda, porta a casa soltanto la preghiera, ma è poco più che scolastica. Il resto non è neppure classificabile, mancando una precisa linea di canto, l'uso degli accenti e dei colori, una certa solidità vocale e un corretto uso dei fiati: ogni volta che si trova a dover affrontare una cadenza, questa viene spezzata da uno o più respiri.
Andrea Patucelli è il solo artista a non essere contestato dal pubblico alla fine dello spettacolo. Pur non possedendo il giusto spessore e gli accenti adeguati all'nterpretazione verdiana, sa dosare le proprie qualità di fraseggio e tecnica belcantistica per una corretta esecuzione del ruolo di Pagano. Interessanti le variazioni nella cabaletta della prima aria.
Ivan Magrì possiederebbe le giuste dote naturali al canto lirico, ma lascia molto a desiderare nella tecnica e il risultato ottenuto nella parte di Oronte è più che mediocre. Gli acuti sono ben saldi, ma sviliti da un vibrato eccessivo e poco piacevole; alcune note sono calanti; le mezze voci sono soltanto accennate e decisamente poco sostenute.
Alessandro Fantoni interpreta Arvino, ruolo non protagonista ma tutt'altro che marginale, dove occorrerebbero tutte le virtù di un vero tenore verdiano, che mancano in toto.
Efficaci il Pirro di Davide Baronchelli e il Priore di Matteo Monni. Inadeguati Stefania Ferrari, Francesca Paola Arena e Daniele Cusani nei panni di Viclinda, Sofia e Acciano.
Buona la prova del Coro del Teatro Municipale di Piacenza diretto da Corrado Casati; bis concesso dopo solo un paio di richieste e qualche applauso per O Signore, dal tetto natio.
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