Il 19 gennaio scorso, il capogabinetto del Ministero per i Beni e le
Attività Culturali, Salvatore Nastasi, ha emanato una
dura circolare ai sovrintendenti delle 14 fondazioni lirico-sinfoniche
italiane richiamandoli all'osservanza dell'art. 3 della legge n. 100, del 29
giugno 2010, che afferma: “Il personale dipendente delle fondazioni
lirico-sinfoniche, previa autorizzazione del sovrintendente, può svolgere
attività di lavoro autonomo per prestazioni di alto valore artistico e
professionale, nei limiti, definiti anche in termini di impegno orario
percentuale in relazione a quello dovuto per il rapporto di lavoro con la
fondazione di appartenenza, e con le modalità previste dal contratto collettivo
nazionale di lavoro… sempre che ciò non pregiudichi le esigenze produttive della
fondazione. Nelle more della sottoscrizione del Contratto collettivo nazionale
di lavoro, sono vietate tutte le prestazioni di lavoro autonomo rese da tale
personale, a decorrere dal 1º gennaio 2012”.
Non essendo stato sottoscritto un contratto nazionale che potesse derogare
alle more, è evidente che i dipendenti di un teatro finanziato dallo Stato non
possono più svolgere la libera professione. La volontà del legislatore era
quella di “migliorare la critica situazione economica delle fondazioni lirico
sinfoniche italiane” punendo chi abusa della sicurezza del proprio posto di
lavoro.
C'è però una deroga a tale divieto, scritta appositamente per il
Teatro alla Scala e l'omonima Filarmonica. “Si precisa che il
divieto ispirato al generale principio della esclusività del rapporto di lavoro,
tollera bensì l'eccezione delle prestazioni di lavoro autonomo rese dai
dipendenti a favore del corpo artistico del proprio teatro… I vantaggi economici
per la Fondazione, necessari, devono assumere infatti veste di apposita
obbligazione giuridica formalizzata nell'atto di convenzione fra Teatro e corpo
artistico autonomo”. Dunque viene salvata l'attività della Filarmonica
della Scala, riconosciuta come emanazione diretta del Teatro, attraverso
apposita convenzione fra le due entità.
E tutti gli altri solisti italiani?
Devono scegliere: o il posto fisso o la libera professione.
Se non vogliono cancellare i loro impegni, anche con complessi prestigiosi,
dovranno rinunciare al posto fisso. Se invece non rinunceranno al posto fisso è
probabile che saranno sostituito da solisti stranieri dando ancora più potere
alle agenzie artistiche internazionali che già governano la maggior parte dei
cartelloni internazionali.
Nemmeno Muti si salva, dato che è ‘direttore onorario a
vita' dell'Opera di Roma, quindi, in teoria, non potrà più
dirigere né a Chicago nè la sua ‘Cherubini', né qualunque altra orchestra…
Se anche l'intento legislativo era punire coloro che, con la sicurezza del
posto fisso, abusavano della loro posizione, svolgendo secondi-terzi lavori e
costringendo poi le Fondazioni ad assumere sostituti, il rischio è che si cada
nel paradosso che possa portare ad una limitazione della libertà di espressione.
Ci auguriamo che non sia così perché i sacrifici e l'impegno che distinguono
un artista da un musicista è giusto che vengano riconosciuti.
Se effettivamente sono artisti di bravura riconosciuta non avranno certo
problema a scegliere la libera professione.
Se, pur bravi, decidono di rimanere nell'orchestra stabile con la sicurezza
dello stipendio e del posto fisso, dovranno impegnarsi per dar lustro alle
Fondazioni presso cui lavoro che, se gestite correttamente, sapranno anche
valorizzarli maggiormente e concedere, in modo ponderato, gli adeguati permessi
artistici.
Nella gestione di ogni attività dovrebbero sempre esserci buon senso e
onestà!
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