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La sola Speme: Verdi deciso a rinunciare alla musica

guglielmo novalis, 27/08/2013

In breve:
Giuseppe Verdi è sempre dubbioso sulla strada da intraprendere, quella della musica sembra colma di ostacoli, e anche il suo caro padre non sa che consiglio dargli, poi una sera di ritorno da Busseto...


Carlo aspettò vicino alla rampa di scale che conducevano al piccolo organetto di Roncole suo figlio. Ogni domenica Giuseppe veniva a suonare per la messa, si faceva a piedi la strada da Busseto a Roncole la mattina, e poi la sera, per ritornare a casa di Barezzi, che ormai lo ospitava in casa come un figlio.

Ormai stava diventando adulto, Carlo si compiacque nel vedergli scendere le scale con quel suo fisico forte come il suo. Ma che pena che aveva in cuore! Fargli continuare a studiar musica come diceva il Barezzi e quel maestro di Busseto o indirizzarlo al sacerdozio come ripeteva da anni Don Seletti? Non sapeva davvero che scelta fare per suo figlio.

Luigia aveva replicato che bisognava far decidere il ragazzo, certo prete sarebbe stato una gran bella cosa, ma la musica aveva invaso la sia vita sin dall'infanzia, e con lui aveva pervaso anche tutta Roncole.

Giuseppe richiuse la porticina  dell'organo dietro di sé, e prima che Carlo potessi dirgli qualcosa, due donnine si avvicinarono a lui, e cominciarono ad elogiarlo per quella musica tanto bella e tanto ispirata che aveva suonato quella mattina. Giuseppe sorrise e si grattò il capo imbarazzato, non era abituato a ricevere i complimenti anche se ormai era davvero anni che faceva quel servizio, e tutti gradivano la sua musica.

Le due donne infine lo salutarono poi passando di fronte a Carlo, e indugiarono qualche minuto anche con lui.

 - Dev'essere orgoglioso Carlo del suo figliolo.-

 - Molto.- Sorrise Carlo, e le due donne si avviarono all'uscita della chiesa bisbigliandosii a vicenda ancora quanto avessero gradito l'accompagnamento musicale del giovane Verdi.

Giuseppe si mise di fronte a lui e gli fece un cenno col capo che stava ad indicare una cosa ben precisa: parleremo finché vorrete, ma fuori di qui.

Uscirono dalla chiesa, e si avviarono verso casa, l'uno di fianco all'altro. 

 - Dunque- cominciò Carlo – io non so che dobbiamo fare.- Esclamò senza nessun tipo di preambolo, col cielo plumbeo e quasi moribondo sopra di loro che incombeva con una promessa di freddo e di nebbia per il pomeriggio. Giuseppe alzò le spalle con fare rassegnato.

 - Io non ho voglia di fare il prete papà.-

 - Ecco...Questa è una cosa da ben considerare, non è uno scherzo fare il prete- disse Carlo cercando di fare il punto della situazione senza soverchiare suo figlio con domande e ragionamenti.

 - Sono contento che non vogliate spronarmi a forza a quella via.-

 - Se tu non lo vuoi fare nemmeno io e tua madre vogliamo che tu lo faccia.-

 - Però...-Aggiunse Giuseppe fissando per terra i ciottoli del sentiero che conducevano a casa sua. 

 - Però?- Lo incoraggiò suo padre corrugando la fronte.

 - Però io che devo pensare sulla musica? Sono confuso.-

 - Il Barezzi dice che sei un gran talento, il Provesi, così dice lui, ti adora, e loro pensano che tu possa aspirare ad un posto di organista qua intorno.-

 - Ma ce la farò? Don Seletti dice che la nomina a Maestro istruttore della società filarmonica e organista di Busseto dipende dal Consiglio della fabbriceria della collegiata, non di certo mai musici della filarmonica.-

Carlo strabuzzò gli occhi, per lui erano un po' troppe parole messe in fila tutte insieme.

 - E chi è capo di tutto questo?-

 - Preti papà- esclamò Giuseppe con una punta di disprezzo.

 - Ma non credo che il Barezzi non possa far nulla.-

 - Mah...- sospirò Giuseppe fissando la fertile pianura seminata di melica a canapa intorno a casa. Il Barezzi era uno solo, e tutti gli altri una moltitudine, davvero non pensava che nonostante l'affetto del ricco commerciante di Busseto avrebbe potuto avere quel posto. Il suo sguardo poi si posò sul tetto umile con i pendii spioventi appoggiati alla fronte pacata dalla quale scendeva il volto sereno dell'abitazione paterna. Umile ma dignitosa.

 - Su adesso entriamo e mangiamo quello che ci ha preparato tua madre, vedrai che a pancia piena si ragione meglio.-

Giuseppe annuì, ed entrarono entrambi in casa.

 

Quella sera salutò sua madre e suo padre, e si diresse sulla strada di Busseto, Carlo gli diede una pacca sulla spalla e gli raccomandò di non farsi venire il mal di stomaco a pensar troppo, non ve ne era bisogno e mal che andasse la bottega poteva sfamare benissimo anche la sua famiglia un giorno, inoltre c'erano i campetti d'intorno, che lui stesso coltivava per arrotondare i guadagni dell'osteria; insomma lo rassicurò che se anche non fosse divenuto né prete né musicista, non sarebbe di certo morto di fame. Giuseppe sorrise al tentativo paterno di tirargli su il morale e di infondergli fiducia, poi uscì di casa.

C'era il solito velo di nebbia che aleggiava sui campi, mentre l'imbrunire donava al cielo il colore di una contusione vecchia, e Giuseppe si avviò per la strada con la mente grondante di pensieri. Barezzi era davvero un buon uomo, ma che poteva fare per lui? Provesi lo aveva ammonito sul fatto che è dovere di ogni essere umano rendere giustizia ad una dote che in noi spicca, “in te ragazzo la musica prende forma e vita, con nervo sangue e sincerità, se proverai a farla tacere lei ti imbratterà le carni e ti farà ammalare, succede così a chi non guarda in faccia la propria vocazione e non adempie al proprio destino”.

Gli era sembrata la profezia ancestrale di un qualche patriarca dallo sguardo fiammeggiante, Provesi si sarebbe dovuto dare una calmata. Le smanie da poeta lo invadevano un po' troppo talvolta e il Macbeth e Re Lear lo eccitavano più del dovuto. Don Seletti forse era un po' pedante nel ripetergli di entrare in seminario, ma non aveva torto quando gli rammentava come fossero cedevoli per la vita pratica le fondamenta fornite dalla musica. Un maestro di cappella a Busseto, solo uno. E lui non ce l'avrebbe mai fatta, questo era certo. Aveva solo il Barezzi, e lui era figlio di Carlo Verdi, un gran lavoratore questo era certo, ma un oste, seppur umile e onesto. La musica...Ah! Maledizione al Provesi che gli aveva messo in testa quelle idee balzane. La musica è un donna che ipnotizza e seduce, come gli aveva detto Don Seletti, sarebbe stato meglio lasciar stare. Si! Aveva deciso, l'avrebbe lasciata stare, forse non il prete, ma avrebbe smesso di far musica. 

D'un tratto sentì dove aveva appena appoggiato i piedi qualcosa che stava cedendo; con uno spavento incredibile si ritrovò sommerso dall'acqua del fosso, gelida e raggelante che con una miriade di aghetti lo stava pungendo con il suo freddo. Pensando e riflettendo non si era accorto, nell'oscurità di quella sera, di aver camminato a filo dell'argine fino a quel momento, e il terreno aveva ceduto facendolo cadere dritto in quel fosso pieno d'acqua e dal quale non avrebbe mai potuto risalire da solo. 

Cercò di gridare, gli venne istintivo, ma dalle sua labbra uscì solo un grugnito ansimante, il freddo dell'acqua gli premeva sul petto come un quintale di ferro, e annaspando nell'acqua riuscì a produrre pochi suoni indistinti, sommessi e pochi sonori. Nel freddo dell'acqua si stava quasi arrendendo quando percepì una mano che lo afferrava per il colletto della giacca e lo trascinava su, e per poco non lo fece morire strozzato. Quando ripose mani e piedi sull'argine cominciò a tossire e si strinse con le mani i bordi della giacca istericamente.

 - Ragazzo ma come ci sei finito nel fosso?- Sbottò una voce di donna. Giuseppe alzò gli occhi e si stupì riconoscendo nel buio la sagoma di un donnone alto e largo il doppio di lui.

 - Come ti chiami ragazzo?-

 - Giuseppe-

 - Giuseppe bisogna portarti a casa di qualcuno e farti togliere tutti i vestiti freddi.-

 Giuseppe cercò di dire un paio di parole, ma non gli vennero.

 - Su avanti dimmi un nome- fece la donna quasi spazientita.

 - Barezzi...- Disse infine, anche se era mezzo tramortito dal freddo. Rifletté sulla possibilità di aver camminato parecchio, e quasi sicuramente era più vicino a Busseto che a Roncole.

 - D'accordo allora- il donnone lo afferrò e se lo mise sulle spalle, poi cominciò a camminare celermente, e Giuseppe prima si stupì della forza fisica di quella contadina, poi, esausto e infreddolito, svenne.

 

 
 
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