Ci nutrimmo di lui come dell'aria
libera ed infinita
cui dà la terra tutti i suoi sapori.
La bellezza e la forza di sua vita,
che parve solitaria,
furon come su noi cieli canori.
Egli trasse i suoi cori
dall'imo gorgo dell'ansante folla.
Diede una voce alle speranze e ai lutti.
Pianse ed amò per tutti.
(Gabriele D'Annunzio, In Morte di Giuseppe Verdi)
Giuseppe Verdi figlio dell'oste di Roncole si avvia in modo provvidenziale
verso la musica, il tragitto è tortuoso, ma una mano invisibile lo guida e
nonostante rifiuti e delusioni clamorose, che formano il carattere del giovane,
si ritroverà a studiare a Milano. 2013. Raffaele Tabarelli Fatis, professore
di storia della musica fa lezione alla sua classe di cantanti, giovani,
speranzosi, e con l'ambizione di divenire futuri divi del teatro musicale.
Così le vicissitudini del giovane Verdi, ardimentoso e spesso irruente, si
intrecciano a quelle di cantanti che lo amano e che a più di due secoli di
distanza, attraverso le sue opere e i suoi personaggi, tentano solcare i
palcoscenici più famosi. Giuseppe è solo un ragazzo, povero, con l'immensa
fortuna di avere dalla sua un mecenate come Antonio Barezzi, ma a più di due
secoli di distanza è percepito come un mito. Due epoche, due dimensioni, più
cuori, ma una sola musica. E alla fine il rumore assordante degli applausi a
fine spettacolo.
Capitolo Primo La Spinetta
Carlo bussò alla porta, sperava che non fosse troppo tardi per bussare alla
porta di Cavalletti. Una donna dall'aspetto formoso e dagli occhi color mandorla
aprì la porta: era la moglie del cembalaro; Carlo la riconobbe perché la vedeva
sempre a messa. - Si?- – Sono Carlo Verdi, stavo cercando
vostro marito - disse togliendosi il berretto in segno di rispetto.
Cavalletti abitava a pochi passi dall'osteria, oltre il campo del Nanni, in
quella casa dinoccolata e dall'aria mesta. – Mio marito è fuori per delle
commissioni, so bene chi siete Carlo, per cosa avete bisogno di lui?-
Carlo annuì. - Stamani sono andato dal Guizzo, gli ho preso quella spinetta
vecchia e arrugginita per poco, per il mio ragazzo.- La donna nel sentir
nominare il ragazzino abbozzò un sorriso.
L'ultima volta che era stata a messa era quasi scoppiata a ridere vedendo la
portata del ceffone che il parroco aveva assestato a quel chierichetto
trasognato. Il giovane Verdi si distraeva al suono dell'organo e dimenticava di
portare il calice e gli altri arnesi necessari allo svolgimento della funzione.
– Giuseppe?- Chiese con una nota di tenerezza e di simpatia nella voce.
– Ha passione per la musica - fece l'uomo con un brillio nello sguardo
e l'espressione compiaciuta. La donna aguzzò i suoi due occhietti da topo: -ecco
allora cosa lo distrae durante la messa.- – Ah si - rise Carlo
– l'organo.- – Il parroco lo strattona non poco.- –
Fa bene- disse lui prontamente acquistando nella voce una sorta di
autoritarismo- la messa è importante, per questo gli prendo la spinetta,
così la smetterà di farsi distrarre in chiesa, e potrà suonare finché vuole-
era una bugia, la comprava perché sarebbe stato utile a tutti che Giuseppe
potesse suonare in casa. – Appena mio marito torna ve lo mando.-
– Grazie Giovanna.- – A presto Carlo.- Carlo si rimise
il berretto e si diresse a passi lenti verso casa.
Il cielo aveva iniziato a striarsi delle ombre scure della sera, e un refolo
di vento faceva stormire le fronde, come una donna che si fosse passata le dita
fra i capelli. Qualche foglia ancora di un verde estivo calava volteggiando al
suolo. L'autunno era triste, e non riuscì a fare a meno di pensare a come quella
stagione rispecchiasse l'atmosfera della sua famigliola. Quella spinetta avrebbe
rappresentato tante cose, almeno così si augurava lui di tutto cuore.
Dalla passione di suo figlio a, forse, l'illuminante sorriso che sarebbe
tornato a splendere sul viso di sua moglie. Da quando era morta la loro bambina
Luigia era diventata più cupa della notte. Piangeva, non dormiva, aveva sempre
il volto sciupato e sofferente. L'unica volta che Carlo aveva rivisto negli
occhi della moglie un minimo luccichio era stato quando un mese prima avevano
chiuso l'osteria presto ed erano andati a prendere Giuseppe in Chiesa, dove
stava facendo ancora lezione con Baistrocchi.
Luigia aveva finito di filare e lo aveva accompagnato; era entrata, e
sentendo suonare il suo bambino aveva sgranato gli occhi e il suo volto aveva
assunto un colore fanciullesco. - Ma è proprio il nostro Giuseppe che suona?-
Aveva esclamato con enfasi. Carlo a quel punto si era convinto. Aveva già
fatto un voto alla Madonna quando Luigia e il piccolo Giuseppe di appena un anno
si erano rifugiati nel campanile di San Michele, per sfuggire all'esercito degli
austriaci venuti a compiere razzie nelle campagne intorno a Roncole; le aveva
promesso che avrebbe voluto e fatto il meglio per suo figlio, scampato per
miracolo a quell'orda di soldati.
Così quella stessa mattina era andato dal Guizzo e aveva contrattato un
prezzo per quella spinetta che lui aveva notato ai margini della sua sala tempo
addietro, coperta con un lenzuolo grigiastro come se fosse stato il cadavere di
un morto. - Che ne fate?- Gli aveva domandato la prima volta. -
Nulla- gli aveva risposto il Guizzo alzando le spalle con una certa nota di
rassegnazione nella voce – io ci suonavo, ma nessuno più la degna del minimo
sguardo, la copro se no mi si impolvera.- Meglio a casa Verdi suonata da
un bambino che tenuta in un salotto come se fosse stata la reliquia di un santo
incompreso. Luigia forse avrebbe riacquistato il sorriso e il piccolo
Giuseppe finalmente il suo strumento.
Cavalletti fissò la casupola
dell'oste, il suo tetto umile, con pendii spioventi posati alla fronte pacata
dalla quale scendeva il volto sereno. Bussò, e subito Carlo Verdi venne ad
aprirgli; era un uomo alto, con due spalle molto larghe e gli occhi mansueti.
– Grazie Cavalletti di essere venuto.- – Prego Verdi.- –
Venite - e si scansò per farlo entrare. Non appena ebbe varcato la
soglia Cavalletti si sorprese di riscontrare nell'abitazione dell'oste
un'oscurità quasi notturna nonostante non fossero nemmeno le tre. Alle finestre
c'erano delle tende di tessuto spesso e scuro, il che conferiva all'abitazione
un aspetto davvero tetro, nonostante da fuori gli fosse sembrata di tutt'altra
armonia.
Verdi vedendo la sua reazione un poco scettica sulle tende scure mugugnò che
a sua moglie dava fastidio la luce. Carlo Verdi a Roncole godeva di un certo
prestigio, era l'oste ed era un uomo onesto, un gran lavoratore. Sapevano tutti
però che sua moglie continuava a piangere e a star male dopo la dipartita della
bambina, nata e poi morta dopo un paio di mesi. Madri di campagna partorivano
dieci, dodici figli e ne riuscivano a far rimanere vivi sette o otto, almeno un
paio morivano sempre. Era la prova della vita. Il male di vivere come quello che
aveva la moglie dell'oste però era più grave. Forse era per questo che la casa
era trasandata, la donna non riusciva a far fronte ai suoi doveri quotidiani. Ad
un tratto gli venne incontro il ragazzino che aveva predetto la morte a Don
Masini.
Giuseppe Verdi.
Al paese si era vociferato un bel po' riguardo quel fatto strano e
sciagurato: dopo l'ennesima strattonata da parte del sacerdote che lo aveva
ridestato dai torpori provocatogli dal suono dell'organo, il ragazzino lo aveva
maledetto. Gli aveva augurato che lo colpisse un fulmine. Così era successo! Il
povero Don Masini era morto colpito da un fulmine.
Il ragazzino aveva la fisionomia del padre, lo stesso profilo in fieri, un
brillio quasi da rapace dentro gli occhi scuri e una linea degli zigomi scoscesa
come un dirupo, ma tutta quella compattezza della sua fisionomia venne
trasformata e illuminata dall'entusiasmo febbrile dalla quale era pervaso:
sembrava un cucciolo che fremeva per il pasto quotidiano.
Carlo gli mostrò la spinetta. – Cavalletti quella è l'affare.-
Il cembalaro si mise a fissare la spinetta, e provò a suonare qualcosa. Vecchia
scordata e brutta. Avrebbe dovuto fare un lavoro molto lungo quel pomeriggio.
– Si può mettere a posto Verdi, non temete.- Carlo sorrise e il
figlioletto urlò dalla gioia. – St! Giuseppe taci una buona volta-
fece suo padre sopprimendo l'esplosione di gioia del ragazzino. – Vuoi
darmi una mano ragazzo?- – Si! Si!- Fece entusiasta Giuseppe.
– Bene allora vieni qui e tienimi i ferri del mestiere, mi dirai quando la
nota ti sembra intonata.-
Quel pomeriggio Giuseppe Verdi fu un
aiutante solerte e prodigo di confidenze. Gli raccontò che con l'aiuto di quella
spinetta avrebbe composto grandi opere e una messa per il Papa. Il padre un
certo punto gli disse di smetterla, che poteva dargli fastidio, ma lui alzò la
mano con un sorriso aperto sul volto. L'entusiasmo e l'energia del ragazzino
erano davvero contagiosi. Quando ebbe terminato il lavoro Carlo gli offrì un
bicchiere di vino e lui non lo disdegnò; a quel punto Giuseppe iniziò a suonare
una musichetta dal ritmo festoso per provare il suo nuovo strumento, e il
cembalaro cominciò a battere il tempo con il piede.
– E' bella questa musica Beppino- disse Cavalletti. – E' mia-
sorrise il ragazzino. Il cembalaro si voltò di scatto e fissò Carlo: - è
davvero sua? L'ha scritta lui?- Carlo alzò le spalle: - così dice,
sapete Cavalletti, io che ne posso sapere? So che mi piace, per questo gli ho
comprato quella spinetta.-
Cavalletti rimase ad ascoltare il giovane Verdi fino alle sei inoltrate, poi
però decise di andarsene, l'organo del paese di Busseto l'attendeva. Prese un
coltellino e alzatosi espresse la volontà di incidere una dedica personale a
Giuseppe. Il bambino sgranò gli occhi e si accovacciò al suo fianco per vedere
cosa stesse scrivendo. – Ecco fatto- disse alla fine alzandosi. –
Cosa avete scritto?- Chiese Carlo. – Ve lo leggo. Da me Stefano
Cavalletti fu fato di nuovo questi saltarelli e impernati a corame, e vi adatai
la pedaliera che io ci ho regalato come anche gratuitamente ci ho fatto di nuovo
i saltarelli, vedendo la nuova disposizione che il giovinetto Giuseppe Verdi
d'imparare a suonare questo istrumento, che questo mi basta per esserne del
tutto soddisfatto.- Carlo gli chiese più volte cosa gli dovesse per il
disturbo, ma lui alzò le spalle e gli rivolse un'espressione serena e solare.
– Se il ragazzo dovesse diventare qualcuno anche io così avrò dato il mio
contributo.-
Non perdetevi il prossimo capitolo che trovate al seguente lin: "Il Mecenate"
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