E' MORTO IL GUASCONE DELLA LIRICA
A 86 anni Giuseppe Di Stefano, ha smesso di sopravvivere alle tragiche conseguenze subite durante una rapina in Kenia, quando gli scipparono la vita.
Si è spento così, fuori da ogni luce, il guascone del teatro lirico.
L'unico artista che dalla Sicilia è venuto alle scene del melodramma per spargere al mondo i doni di una ineguagliabile natura.
Un timbro di pura voce lirica con una capacità di accentazione mai più ascoltata che dava colore e significato ad ogni singola parola, ad ogni sillaba cantata con un istinto musicale suberbo.
La sua generosità non ha conosciuto barriere nè mai si è preoccupata del futuro.
Ha cantato donando tutto se stesso contro ogni prudenza per essere uomo ancor prima che cantante.
Di lui non si potrà mai dire che ha curato ossessivamente la tecnica vocale e preservato la voce.
I sigari sono stati i suoi compagni di vita e con me diceva: vedi, non sono un cantante che fuma, ma un fumatore che canta.
Amava il mare e ci si tuffava o scorazzava con il motoscafo fino a pochi minuti prima della recita.
Piaceva alle donne e non le ha evitate, Callas compresa.
Sapeva spendere tutto quello che guadagnava, magari anche giocando, con l'eleganza del
più completo disinteresse per il denaro.
Nel 1990, quando lavoravo al Festival Pucciniano di Torre del Lago lo scritturammo come voce recitante in "Le Villi".
Venne, recitò, e scappò dopo ogni recita atteso da amici per cene notturne che gli avrebbero rallegrato la vita.
Non è mai tornato a riscuotere il suo compenso: credo sia ancora là che lo aspetta.
Anni fa, quando morì la sua anziana mamma, mi telefonò: sai cosa mi è successo?
E' morta mia madre e mi ha lasciato in eredità il suo appartamento. Che guaio! Non posso
più morire povero, da bohemienne come Rodolfo:
come cantante, la sua regola di vita, gli ha concesso di vivere splendidamente solo 8 anni di carriera, ma sono stati momenti irripetibili, ineguagliabili, straordinari, anche se lontani dai riflettori dello star system.
Il resto della carriera, ricco di incidenti di percorso e recite annullate, se lo è giocato sugli allori di quel pugno di belle stagioni.
Il pubblico del teatro musicale ha però continuato ad amarlo.
Ho avuto il piacere di averlo in tanti miei spettacoli, anche a Recanati per le celebrazioni del centenario della nascita di Gigli, accompagnato al piano dall'amico nostro Roberto Negri, altro mostro sacro della musica, e ricordo che bastò una romanza di Tosti, una canzone napoletana per convincere la folla che stipava l'auditorium a convincersi di aver assistito ad un evento storico.
Ho portato rancore ai vociomani che lo hanno criticato, offeso, massacrato.
Uno in particolare che non cito perchè non mi va di fargli pubblicità post mortem.
Su Giuseppe Di Stefano non si potevano sputare veleni perchè criticare le sue scelte di vita significava disumanizzarlo.
Capisco che i censori e "quello" in particolare, non volevano che Di Stefano fosse un esempio per le nuove generazioni dei tenori.
Ma tutto quel rigore, che amareggiò l'anima buona di Pippo, non è servito a nulla.
Dopo di lui una personalità lirica così fulgente non è mai più apparsa.
Sono nati tenori che non fumavano e che hanno cantato per decenni, ma la zampata del leone siciliano la Natura non l'ha
più concessa a nessuno.
Daniele Rubboli
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